Cerca nel blog

Cor-rispondenze

lunedì 16 settembre 2013

La morte di un compagno

fiori incidente

Caro professore,
Purtroppo in questi giorni abbiamo assistito a due episodi drammatici: il 5 settembre è morto in un incidente automobilistico un ragazzo albanese che aveva frequentato la scuola media insieme a me e la settimana successiva, il 10 settembre, a Bra, la stessa sorte è toccata ad un quattordicenne al primo giorno di scuola superiore. Quello che ne consegue non è difficile da immaginare: la disperazione della famiglia, il dolore degli amici, il vuoto incolmabile che la loro scomparsa inevitabilmente lascia, i ricordi che ci legano a loro e che ci inseguono senza sosta, l’incapacità di attribuire un qualche significato alla loro morte e la difficoltà nel ritrovare un senso alla propria vita che la renda quantomeno ancora sopportabile. Di fronte a questi fatti non ho potuto fare a meno di interrogarmi sul significato e sul valore della morte nel mondo contemporaneo per i singoli individui e per la società nel suo complesso. Secondo lei esiste un significato universale da attribuire alla morte oppure il rapporto che ciascuno di noi possiede con la morte, o meglio con l’idea della morte, è personale e soggettivo? Qual è il ruolo che l’idea della morte ha rivestito e riveste tuttora per la società e come si pone il pensiero filosofico moderno di fronte ad essa?
Alberto, ex VA

Caro Alberto,
Possiamo fare finta che della morte si possa parlare in modo distaccato. Invece non è così. Le frasi pronunciate ai familiari di un ragazzo che ha perso la vita o le parole scambiate tra amici sconvolti a seguito dello shock rivelano le manchevolezze del linguaggio generico e consolatorio, e dei pensieri, sempre inadeguati e approssimativi. Vladimir Jankélévitch, filosofo francese contemporaneo di origini russe, in un libro intitolato “La morte” (1977), [Einaudi 2009], ricorda che la morte è una «tragedia inaggirabile» e indaga l’insufficienza di ogni risposta di fronte al dramma. Troppo consolatoria l’idea dei “Campi Elisi”, tanto cari alla tradizione classica, troppo rassicurante ogni riflessione religiosa, ma anche inadatte a rendere conto dell’abisso che si spalanca le considerazioni “laiche”: da Epitteto, il quale afferma che la morte “non ci riguarda” perché non ci saremo più, a Lucrezio, che parla dell’assenza di ogni sensibilità dovuta alla dissoluzione del corpo. La riflessione filosofica sulla morte è stata talvolta pervasa di pessimismo (“la morte è lo scacco finale che getta nel nulla”), di ottimismo (“la morte apre ad una nuova dimensione e a una promessa di premio o di punizione per la condotta di vita”) o di indifferenza (“la filosofia è meditazione sulla vita non sulla morte”). Non è importante chiedersi se esista un “significato universale”, perché ogni significato che abbia la pretesa di essere assoluto e definitivo banalizza la fine della vita personale che sentiamo unica e irripetibile. In fondo gli uomini fanno diverse esperienze della morte. 1. Per sentito dire: “sai che nella guerra di Libia sono morti circa 17.000 uomini?” La morte diventa una notizia che accresce il desiderio di conoscere: un’informazione tra le informazioni. 2. Poi c’è la morte degli altri: delle persone che frequentiamo e delle persone che amiamo. 3. Poi ci sarà la nostra morte. Che potrà essere istantanea o a seguito di un periodo di sofferenza e di malattia. È vero che quest’ultima è «la nostra morte», ma essa non consentirà un tempo supplementare per meditare sugli ultimi istanti. Allora, l’unica morte che veramente tocca la nostra vita, più prossima persino della morte personale, è la morte degli altri. Nel familiare o nel compagno di classe che muore la vita rivela la propria precarietà. Lo strappo ci presenta la perdita in tutti i suoi aspetti: il venir meno dell’incontro, della relazione, della memoria e del futuro. Ci fa sentire soli, abbandonati, svuotati. Ognuno vive la separazione da chi ama o da chi conosce come riduzione di sé. C’è un momento, quando siamo bambini, in cui non sappiamo di dover morire. E c’è un momento in cui viviamo portando nel cuore l’assenza delle persone care. Certo, possiamo ancora essere felici, anche se siamo consapevoli che la morte tinge irreversibilmente il mondo interiore: storie e nomi che mancano configurano l’andatura, plasmano lo sguardo e orientano i pensieri di ogni uomo.
Un caro saluto,
Alberto

Nessun commento: