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Cor-rispondenze

lunedì 17 marzo 2014

Donare la stima



Caro professore,
le scrivo perché ho urgente bisogno di aiuto per cercare di far luce su una questione che è maturata in me durante l’estate. Da qualche tempo mi ero resa conto che tra le mie amiche ce n’era in particolare una alla quale tenevo, e tengo tuttora, in modo particolare. Sentivo che questa vicinanza non era dovuta solamente ad un’istintuale simpatia e andando più in profondità ho compreso che ciò che la distingueva dalle altre persone che mi trovavo accanto è che per lei provavo e provo una totale e sincera stima. Allargando lo sguardo mi sono accorta che tra i miei amici un numero molto ristretto gode di questa stima e anche al di fuori della cerchia sono pochissime le persone che stimo profondamente, oltre i miei genitori. Oltretutto alcune di queste persone che avevo preso come punto di riferimento, e quindi di cui avevo molta stima, l’hanno con il tempo persa. Questo lato di me mi fa soffrire perché, proprio nelle persone che mi sono più vicine e che mi potrebbero essere di sostegno nei momenti difficili della mia vita, io non riesco a riporre la mia stima e, di conseguenza, la mia completa fiducia. Allora io mi chiedo: secondo lei, è possibile scegliere di donare a qualcuno la propria stima? E in questo modo, la stima donata può continuare a essere autentica?
La ringrazio per la sua disponibilità,
Letizia, 5B

Cara Letizia,
Il filosofo olandese Baruch Spinoza nell’ “Etica” (1677) scriveva che «la stima è sentire di una persona più del giu­sto, per amore». Forse è anche per questo che «fuori della cerchia» dei famigliari non sono così numerose le persone che godono della nostra stima. Sappiamo che la “stima” nasce come misura, come attribuzione di un valore ad un bene materiale; quando mettiamo in atto questa rilevazione, forniamo una valutazione approssimativa che permette di confrontare un oggetto con un altro. In ogni caso, la stima è un giudizio. Poiché proviene da una decisione, non è mai neutrale, perché rimanda a criteri di valutazione che talvolta avvengono senza neppure precisa consapevolezza, in modo automatico. Possiamo giudicare favorevolmente molte persone, però, in realtà, quelle a cui riconosciamo una certa autorevolezza per la nostra vita sono poche. Alcune amiche, come hai notato, «perdono la [nostra] stima», perché con il tempo manifestano comportamenti e abitudini che si allontanano dai valori che consideriamo irrinunciabili e, in qualche caso, di altre diciamo che non «meritano più la nostra stima». In questo senso, stima e fiducia sono differenti. Mentre siamo disposti a concedere la fiducia anche all’inizio di una relazione affettiva o a persone appena conosciute, la stima necessita di un tempo supplementare e – come dice la parola – di una vera e propria «valutazione». Se la fiducia può pertanto anche essere «incondizionata» o se ci può essere un «credito di fiducia» verso qualcuno, nella stima invece consideriamo il «merito», ossia tributiamo un riconoscimento solo a chi reputiamo degno, per coerenza nei comportamenti, per corrispondenza tra ideali e azioni, per costanza nelle scelte di vita anche nei momenti difficili o per fedeltà alla parola data. In questo senso la stima è qualcosa in più della fiducia, è piuttosto il suo compimento, il suo esito positivo, perché è un dono concesso a seguito di osservazioni e perizie. Tra fiducia e stima avviene qualcosa di analogo al processo di decantazione del vino. Per separarlo da eventuali sedimenti, il vino viene versato in una caraffa e poi si attende che alcuni residui si depositino e il vino si schiarisca. Forse è così anche per la vita: persone investite della nostra speranza vengono osservate nuovamente dopo il filtro del tempo. Il tempo “chiarifica” il vino e filtra le ambivalenze degli uomini. Se la fiducia – come scrive bene la filosofa italiana Michela Marzano (“Avere fiducia”, 2012) – implica «l’assunzione di un rischio», perché siamo disposti a fidarci di qualcuno anche senza inoppugnabili garanzie che quella fiducia sia meritata, la stima non è preventiva, ma deriva dall’idea che il rischio era ben posto, che «l’apertura di credito» si è rivelata una promessa mantenuta. Per questo molti autori dedicano un libro anche ad un maestro o ad un amico. Sentono il bisogno di ringraziare chi ha indicato loro una via, ha permesso loro di vivere una relazione significativa, li ha arricchiti interiormente o li ha resi autonomi e liberi. Non so se si possa «donare la stima», credo che possiamo sempre offrire la nostra fiducia, ma che solo qualche volta tale affidamento si trasformi in stima. Spesso, alcune persone ritenute significative non offrono invece solidi ancoraggi, perché avvertiamo che manca in esse congruenza tra parola e vita, ossia quella corrispondenza che candida ogni persona ad essere considerata un «punto di riferimento». E se accettiamo, con Spinoza, che la stima sia il «sentire di una persona più del giu­sto, per amore», talvolta dobbiamo correggere le nostre aspettative e con molta onestà dobbiamo chiederci se la riduzione della stima nei confronti di alcuni compagni avvenga per «insufficienza di amore» o per necessità di ritornare «nel giusto».
Un caro saluto,
Alberto

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