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Cor-rispondenze

lunedì 14 aprile 2014

L'amicizia cambiata


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Caro professore,
oggi volevo parlarle del rapporto di amicizia tra me e la mia migliore amica. Ci conosciamo da quando avevamo tre anni, ci siamo incontrate all’asilo. Siamo subito diventate due amiche inseparabili, tant’è vero che abbiamo fatto tutte le scuole insieme fino alla terza media, quando abbiamo scelto due scuole superiori diverse. Negli ultimi due anni non ci siamo viste molto, nonostante abitiamo vicine. Abbiamo incominciato a incontrarci e a passare di nuovo del tempo insieme la scorsa estate, ma lei non è più com’era una volta. Mi racconta sempre tutto quello che fa o succede a scuola, alle feste o nella sua famiglia e io, ogni volta che parla, penso che sia cambiata radicalmente, perché ha fatto delle scelte che mai mi sarei aspettata, soprattutto da lei. Continuiamo a vederci e ogni volta mi chiedo che cosa sia successo in due anni per farla cambiare così, o anche cosa sia successo a me. Certe volte cerco di spiegarle come la vedo io, cercando di non ferirla, ma lei sostiene che non è così: dice che non è cambiata lei, ma che sono cambiata io. Questa sua ipotesi mi fa pensare, ma non toglie il fatto che non siamo più legate come prima.
Cecilia, II B

Cara Cecilia,
Cicerone diceva che «L'amicizia non è altro che un’intesa sul divino e sull’umano congiunta a un profondo affetto». Trovo che sia una sintesi efficace, perché insieme all’attaccamento sottolinea un’alleanza sulle dimensioni fondamentali dell’esistenza. Per questo il filosofo riteneva che, «eccetto la saggezza», l’amicizia fosse il dono più grande concesso dagli dei agli uomini. Capita che alcune persone con cui ci relazioniamo in tenera età ci accompagnino per tutta la vita. In questo caso gli amici potrebbero essere rappresentati come due navi che scivolano nel mare, a volte calmo a volte burrascoso dell’esistenza, più vicine o più lontane senza una precisa intenzionalità. Incontrare un amico d’infanzia e riconoscere dai suoi occhi che sono sufficienti pochi minuti per ristabilire l’affiatamento di un tempo, è come riconoscere la stessa nave dopo anni di navigazione. Tuttavia, spesso si avverte che nella traversata la distanza ha provocato uno scostamento di direzione dovuto ad una metamorfosi interiore. Così si scopre che l’allontanamento ha generato divergenze che non si possono colmare neanche ritoccando l’angolo di rotta. Non è solo la lontananza fisica a far affievolire sentimenti e affinità, è piuttosto la metamorfosi interiore, che ogni uomo fatica a riconoscere su di sé, ad essere così vistosa da rendere irriconoscibili anche le migliori amiche di un tempo. Entrambe infatti pensate: «lei non è più com’era una volta». Come su una barca i marinai non si accorgono del movimento perpetuo della corrente e percepiscono incautamente la propria immobilità, così anche le persone cambiano senza avvertire la novità del loro sguardo sul mondo. Solo gli oggetti sono come erano un tempo, gli uomini si trasformano, perché questa è la loro essenza. Ci sono mutamenti in cui si riconoscono, perché intravedono un percorso comune e ci sono evoluzioni che disapprovano in quanto si allontanano da un’immagine precostituita. Così ci si rende conto che la vita non scorre più su una scia parallela o che il rapporto non funziona più, ma occorre considerare che la crescita di ognuno avviene in tempi diversi: c’è chi si attarda a fare scelte per noi importanti e chi sceglie altri itinerari. Alcuni cambiamenti sono irreversibili e l’esteriorità è solo il pallido riflesso di una modificazione che ha una motrice invisibile. Capita così di non riconoscersi o di non approvare l’altro, soprattutto perché non si avverte il proprio inesorabile rinnovamento. Aristotele, che ha scritto pagine bellissime sull’amicizia non solo nell’opera più nota, l’“Etica Nicomachea”, ma anche nella “Grande etica”, affermava che per avvertire anche il nostro cambiamento abbiamo bisogno degli altri: «Poiché dunque il conoscere se stessi è tanto la cosa più difficile, [...] noi non siamo capaci di vedere da noi stessi come siamo noi stessi». Per questo spesso colpevolizziamo gli amici o deprechiamo le loro scelte senza renderci conto del nostro impercettibile, ma inesorabile, mutamento. Aristotele spiega bene questa circostanza e scrive: «e che noi non possiamo conoscere noi stessi risulta evidente da come rimproveriamo gli altri senza accorgerci che anche noi facciamo le stesse cose; e questo avviene per benevolenza o per passione; e molti di noi sono accecati da queste cose, sì da non giudicare rettamente». Solo l’altro rende visibile ciò che è accaduto di ciò che eravamo. In fondo cambiamo persino gusti alimentari, quasi senza avvertirne il motivo: un tempo non amavamo un cibo e in un tempo successivo questo diventa indispensabile. Così registriamo diversamente i fatti, associamo parole e idee in modo inconsueto, perché le esperienze mutano i colori della nostra identità. Allo stesso modo ci sono scelte che allentano fino a sciogliere relazioni che sembravano stabili e immortali. Ma non dobbiamo dimenticare che non contempliamo gli amici dalla terraferma, come quando assistiamo alla proiezione di un film, perché siamo tutti coinvolti dal medesimo movimento, implacabile, del mare sottostante.
Un caro saluto,
Alberto

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