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Cor-rispondenze

lunedì 30 gennaio 2017

Un amore che salva

fragilità

Caro professore.
È stato abbastanza difficile scrivere questa lettera... Circa due anni fa ho avuto un problema di cui oggi sinceramente non mi pento di parlare perché è normale essere deboli: chi in un modo, chi in un altro, ognuno ha qualcosa che un po’ lo manda in crisi. Io ho avuto un problema di anoressia dal quale sono riuscita ad uscire non grazie all’aiuto di psicologi o dottori, ma semplicemente a quello della mia famiglia e delle mie amiche, che sono diventate per me ormai la seconda casa, il luogo in cui ripararmi in caso di tempesta. Durante quel periodo di dolore e difficoltà, quando di fronte solo alla parola cibo tremavo e i miei occhi si riempivano di lacrime, ho riflettuto molto. Le domande che mi sono posta sono state molteplici, ma quella che trovo più importante e a cui ancora non ho trovato una risposta non è quella che tutti potrebbero immaginare: "per quale motivo ciò è successo", bensì una che forse è sorta alla fine del problema come conseguenza dei gesti altrui… Tutti siamo destinati a morire, chi prima, chi dopo, e tutti siamo destinati a lasciare questo mondo indipendentemente da ciò che facciamo, dal nostro comportamento, dalle scelte o dalle azioni. Allora mi chiedo: tutto ciò che hanno fatto gli altri per me, aiutandomi in quel periodo difficile, svanirà senza che nessuno lo ricordi? E io, lasciata questa terra, indipendentemente dal fatto che mi ricongiungerò con Dio o mi reincarnerò in qualcosa di altro, vivrò come se nulla fosse mai successo? Dimenticherò tutti i gesti e gli sforzi che i miei genitori hanno fatto per salvarmi? Tutte le lacrime che hanno versato e le preghiere che hanno fatto? Non riuscirò mai a onorare la loro grandezza nemmeno con il ricordo e il grande amore che provo per loro? Resterà almeno in me una traccia di quel ricordo? Come si può non spaventarsi sapendo che tutto svanisce e si dissolve nella grandezza del mondo e alla fine del battito del nostro cuore? Sto cercando, proprio per questo, di ringraziare in qualsiasi modo tutti coloro che mi hanno aiutata, ma sempre, sapendo che tutto svanirà, mi sento debole e ogni gesto mi risulta inutile.
Debora, 4H
 
Cara Debora,
Ci sono prospettive che fanno apparire le nostre azioni insignificanti: quella del tempo della nascita dell’universo o della comparsa della vita sul pianeta. Qualunque gesto nella tessitura di una vita, tra miliardi di vite nello spazio e nel tempo e inserito in una distanza temporale enorme può sembrare irrilevante. Il percorso individuale rivela il suo carattere effimero, la Terra la sua marginalità, ogni gesto si dissolve. La consapevolezza che ogni azione svanisce può farla apparire inutile. Ma solo se considerata da distanze siderali. Se tutto diventa inconsistente inserito in tali intervalli, è evidente che le unità di misura della nostra vita debbano essere altre. Sperimentiamo, ancor prima di comprenderlo con la ragione, che ci sono due tipi di amore: uno incondizionato e uno condizionato. Il primo è quello dei genitori, che ci sostiene anche se non abbiamo meriti. Eric Fromm ne “L’arte di amare” scrive: «Non c'è niente che debba fare per essere amato — l'amore materno è incondizionato. Tutto ciò che devo fare è essere — essere il suo bambino. L'amore materno è beatitudine, pace, non ha bisogno di essere conquistato né di essere meritato». Scopriremo poi che quello era l’unico amore integrale, perché quelli futuri saranno sempre condizionati: dal nostro comportamento, dai nostri valori, dalle scelte di vita. C’è un modo per “onorare la grandezza” dell’amore ricevuto? Chi, come te, è stato fortunato a sperimentare fortemente l’amore della famiglia sa che il proprio debito con quell’origine non potrà essere saldato. L’asimmetria non può essere compensata. Solo col passare degli anni e mettendo insieme i pezzi della storia di chi ci ha preceduto riusciremo a comprendere il significato di quell’essere amati. L’amore ricevuto ci permette di crescere e di maturare la convinzione che la nostra vita è importante, perché interessa a qualcuno. Attraverso la forza che non si è allentata e non ha cessato di sostenerti hai avvertito che la tua esistenza era un valore irrinunciabile, quando tu stessa non trovavi valore in te e attorno a te. Se vogliamo, come dici tu, è una forma di salvezza: siamo stati salvati in quanto non gettati o abbandonati nel mondo, non storditi nei suoi rumori, nell’inconsistenza della mera sopravvivenza naturale. Quel prendersi cura in modo ostinato della vita è un gesto enorme, perché sappiamo che da un punto di vista etico l’amore non si può comandare. Però si può scegliere. Anche Kant sapeva che l’amore non può essere un imperativo etico. Qualche tempo dopo di lui Max Scheler dirà che a partire da quell’essere amati si originano nell’uomo l’etica e la capacità di amare. Nell’opera “Il formalismo nell'etica e l'etica materiale dei valori” l’autore scrive infatti che «L'amore custodisce in sé la possibilità della vita buona». L’amore vissuto diventa un’esperienza originaria che testimonia che è possibile imparare ad amare e che l’amore ricevuto è condizione della bontà. La vita è un misto di fragilità e di forza. I tuoi genitori ti hanno insegnato che i gesti rivolti a sostenere quella fragilità non sono inutili. Quando comprenderai a fondo quell’insegnamento avvertirai di non essere affatto debole. Gli uomini non hanno l’energia per deviare il cammino delle stelle, ma talvolta possono proteggere la vita. La bellezza sta proprio lì: sostenere l’origine e accompagnare il cammino di una vita dà valore a chi genera e a chi è generato.
Un caro saluto,
Alberto

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