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Cor-rispondenze

lunedì 27 febbraio 2017

La bellezza nell'arte


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Caro professore,
talvolta mi ritrovo a guardare documentari sull’arte e a rimanere affascinato dalla magnificenza dei capolavori mostrati. Inoltre, ultimamente, i telegiornali riportano anche le scelte operate dai turisti per queste vacanze: vi è stato un boom di visitatori nei siti museali. Io stesso, nel corso degli ultimi anni ne ho visti parecchi. Mi sorge sovente un dubbio che le illustrerò brevemente. Alcune opere d’arte, come la “Pietà” di Michelangelo o la “Nascita di Venere” di Botticelli, vengono riconosciute da tutti come capolavori assoluti di esimia bellezza. Bellezza che suscita in noi grandi emozioni portando addirittura alcuni soggetti a manifestare la Sindrome di Stendhal, la quale determina l’insorgere di uno stato temporaneo di sofferenza psichica in taluni individui che si trovino ad ammirare meraviglie dell’arte, principalmente se conservate in spazi ristretti. È vero però che l’arte può assumere altre forme. Basti pensare alla corrente contemporanea, che in molti casi divide l’opinione pubblica: mentre alcuni ne esaltano la bellezza, altri la negano. Insomma, la prima corrente porta a pensare che la bellezza sia insita nel capolavoro stesso, mentre dalla seconda si evince che la stessa non esiste in assoluto, ma viene suscitata dall’opera nell’animo di chi la osserva. Allora, io le chiedo: “La bellezza nell’arte è una qualità oggettiva o soggettiva?”
Samuele, 4H

Caro Samuele,
Il filosofo polacco Władysław Tatarkiewicz ci ricorda che l’estetica antica aveva proposto tre teorie del bello: quella matematica dei pitagorici, secondo cui la bellezza deriva «da misura, proporzione, ordine e armonia», quella soggettivistica dei sofisti, secondo cui la bellezza scaturisce «dal piacere dell'occhio e dell'orecchio», e una teoria funzionalistica di Socrate, secondo cui «la bellezza delle cose risiede nell'essere appropriate ai fini a cui devono servire». Nell’epoca classica vi era l’idea che la bellezza fosse evidente e che dipendesse da proporzioni perfette. Armonia, misura e simmetria rappresentavano così anche il criterio per valutare. All’opposto, si è pensato che la bellezza obbedisse sostanzialmente al gusto individuale, esattamente come la scelta di un vestito, di una canzone o di un arredamento. Da questo punto di vista, come non si può raggiungere l’uniformità in materia di gusto, secondo l’antico detto che “De gustibus non est disputandum”, bisognerebbe accontentarsi di riconoscere che la soggettività è il criterio fondamentale per giudicare l’opera d’arte. E poiché il soggetto è condizionato dalla propria sensibilità e dalla propria storia, la bellezza non sarebbe insita nel capolavoro, ma nelle peculiari capacità ricettive di ciascuno. Nella storia dell’arte la bellezza è stata considerata sia come espressione della perfetta riproduzione di un oggetto sia come rivelazione del soggetto che sulla tela esprime la propria esclusiva modalità di sentire il mondo. Quando penso all’arte come rappresentazione oggettiva mi vengono in mente quelle bellissime dispute tra i pittori avvenute nell’antichità e raccontate da Plinio nella “Storia naturale” (Libro XXXV). Al termine di una gara di pittura tra due fuoriclasse, Zeusi  si complimenta con Parrasio per aver dipinto dell’uva con così tanta perfezione che gli uccelli volavano attorno alla tela per beccarla. E così, dopo aver ricevuto i complimenti del collega, Parrasio invita Zeusi a togliere il sottile velo che ricopre la sua opera per poterla ammirare pienamente. Appena scopre che non si tratta di un velo reale, ma dell’illusione prodotta dalla pittura, Parrasio comprende immediatamente di aver perso la gara e riconosce che l’altra imitazione è stata più convincente in quanto in grado di ingannare anche un pittore esperto. Se qui il valore della bellezza è stabilito dal grado di somiglianza dell’oggetto rappresentato con la realtà, a partire dal Novecento si è giunti, ad esempio con l’espressionismo, a valorizzare soprattutto la soggettività dell’artista e non più l’oggettività del mondo esterno. Sono cambiati i criteri della bellezza e tutte le successive correnti dell’arte contemporanea hanno ulteriormente frantumato i canoni antichi. Ed è per questo che molte opere risultano ostiche ai più e spesso si dubita che abbiano a che fare con l’arte. Allora, la bellezza è oggettiva o soggettiva? Umberto Eco nella “Storia della bruttezza” ricorda che, dal cinema alla moda, le bellezze che oggi vengono proposte (Brad Pitt o Sharon Stone) non sono poi così diverse da quelle dei rinascimentali. Come se ci fossero configurazioni comuni negli esseri umani. Ciò significa che Kant ha prodotto un insegnamento che credo sia ancora insuperato. Coerentemente alla sua visione sulla teoria della conoscenza, egli ha affermato che gli uomini possiedono delle strutture che vengono attivate quando essi avvertono ordine e armonia. Quando ciò che è esterno risveglia in loro un senso di ordine, essi tendono a definirlo bello. Il bello non è dunque una proprietà degli oggetti, ma neppure un’arbitraria valutazione del soggetto: nasce piuttosto da una relazione del nostro spirito con la realtà. Il neurobiologo Semir Zeki che studia i rapporti tra cervello e arte (“La visione dall'interno. Arte e cervello” [1999] 2007), ha messo in luce come l’attivazione di diverse aree cerebrali dipenda da colori, forme e linee. L’esperienza estetica ha dunque basi biologiche e Kant lo aveva già capito benissimo troncando il dualismo soggettivo-oggettivo.
Un caro saluto,
Alberto

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