Cerca nel blog

Cor-rispondenze

lunedì 18 febbraio 2019

Beni duraturi


Immagine correlata

Caro professore,
Traducendo una versione di latino, ho incontrato un filosofo (Aristippo) che diceva di investire in beni duraturi. Ecco, io vorrei chiederle quali sono questi beni. Perché se ci pensiamo quasi tutto muore. Allora la risposta dovrebbe essere: la religione e la vita eterna? Quindi in questo caso bisognerebbe orientare la vita ad un fine religioso? O forse a qualcosa di più materiale? O piuttosto la conoscenza? In effetti diverse persone orientano la decisione in campi diversi.
Luca, Ia


Caro Luca,
I Greci e tutti i popoli che solcavano i mari avevano ben chiara l’esperienza del naufragio: la possibilità improvvisa di perdere gli averi sistemati sulla nave e – in un attimo – la vita stessa. L’inabissarsi di un’imbarcazione sovraccarica di merci e di uomini ha sempre avuto un forte impatto sull’immaginazione. Coloro che sono stati ripescati da navi di passaggio o si sono salvati da soli sono tornati trasfigurati. E hanno riconsiderato le loro priorità: ciò che si può abbandonare senza perdere irrimediabilmente se stessi. Per questo il naufragio è metafora della vita, e come ci ha insegnato il filosofo tedesco Hans Blumenberg è soprattutto «esperienza iniziale della filosofia» (Naufragio con spettatore). Sì, perché i filosofi hanno interpretato metaforicamente la calamità materiale come il venir meno di certezze filosofiche e morali a cui l’uomo si affida; verità o semplici persuasioni screditate dall’esperienza o scardinate dalla logica che si attenuano sino a svaporare del tutto. Ogni filosofo, in fondo, costruisce sulle macerie delle teorie precedenti. Così, anche Aristippo (Cirene, 435 a.C. – Lipari, 366 a.C.), discepolo di Socrate, è stato convolto nell’esperienza del naufragio. Fondatore della scuola cirenaica, egli non godeva di buona fama presso gli altri discepoli di Socrate. Forse troppo attaccato al denaro e alla vita agiata, era ormai un po’ troppo lontano dall’insegnamento del maestro. Vitruvio racconta che, giunto dopo un naufragio sulla spiaggia di Rodi e vedendo figure geometriche composte sulla sabbia, egli abbia gridato ai compagni: «Dobbiamo sperare bene, trovo infatti tracce di esseri umani». Forse qui è iniziata la sua conversione. Si è chiarito la differenza tra ciò che era necessario e ciò che era superfluo. Pare che a Rodi abbia insegnato la propria filosofia e abbia ricevuto lodi e doni in cambio della sua sapienza. Quando i suoi compagni vollero tornare indietro, egli tuttavia preferì rimanere nell’isola. E a chi gli chiedeva che cosa avrebbero dovuto raccontare in patria, Aristippo rispose: «Bisogna preparare i veri beni; i veri beni nuotano in salvo anche dopo un naufragio». Cosa sono i veri beni allora? Per il filosofo di Cirene, la saggezza e la filosofia. Perché sciagure, guerre e naufragi non possono nuocere a chi porta con sé saggezza e ragione, conoscenza e capacità di riflessione. L’idea della ricerca di un bene stabile è frequente nella filosofia; in fondo i filosofi non si fermano a ciò che appare, ma si propongono di comprendere le strutture che soggiacciono ai cambiamenti. Seneca afferma che «i veri beni sono quelli che dà la ragione, saldi e perpetui, che non possono venir meno e neppure decrescere o diminuire» (Lettere a Lucilio). E dice che «a ciascuno toccano interi» e non in parte. Egli racconta infatti che in un banchetto pubblico – una sorta di festa del paese –, si è soliti distribuire la carne a pezzetti e prendere con le mani altre vivande e dunque dividere in parti, «ma questi beni indivisibili, la pace e la libertà, appartengono interi tanto ai singoli quanto a tutti gli uomini». Tra i tanti filosofi che hanno cercato beni stabili, quello che suscita molta ammirazione è Baruch Spinoza. Nel De intellectus emendatione, un trattato che indica come si può purificare (emendare) l’intelletto dagli errori, Spinoza afferma di essere alla ricerca di un vero bene («verum bonum») e invita ad abbandonare quei «beni che per lo più si incontrano nella vita» – ricchezze, onori, piacere – e a cercare un bene che possa colmare l’animo «di una gioia assolutamente priva di tristezza». Questa gioia per lui era Dio. In questo caso non il Dio cristiano, ma la struttura razionale del mondo. Però anche la religione cristiana invita a cercare beni stabili. Matteo riporta l’insegnamento di Gesù, il quale dice: «Non accumulate ricchezze qui sulla terra, dove possono essere rovinate dai tarli e dalla ruggine o rubate dai ladri. Accumulatele in cielo, invece, dove non perderanno mai il loro valore e sono al sicuro dai ladri» (Matteo 6, 19-20). Come vedi, i beni durevoli possono essere di varia natura: culturale e religiosa. Ma come è possibile conservare qualcosa di stabile nella società contemporanea definita dal sociologo Zygmunt Bauman “liquida”, in quanto «le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure»? Se tutto cambia forma molto in fretta, è ancora possibile ancorarsi a qualcosa di stabile? Penso di sì. Un bene duraturo è ciò che orienta la vita. Il valore principale a cui facciamo riferimento per giudicare il caos degli eventi. È poiché è la narrazione in cui collochiamo la nostra esperienza per comprenderla, cultura e religione possono fornire entrambe una certa stabilità.
Un caro saluto,
Alberto

Nessun commento: