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Cor-rispondenze

lunedì 4 febbraio 2019

Il razzismo


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Caro professore,
Fin dall’età di tredici anni, a scuola nessuno mi accettava. Tutti mi stavano lontano, non mi consideravano. I compagni della mia classe mi odiavano, mi picchiavano. Frequentavo la scuola in Trentino e molte volte avevo paura di andare a scuola per paura che qualcuno mi picchiasse o mi prendesse in giro. Io non facevo niente di male a loro, eppure loro a me ne facevano tanto. Oggi mi trovo benissimo, ho amici, ma il passato è anche difficile da dimenticare e tanto meno il male ricevuto solo perché sono straniera. Allora mi chiedo, perché certa gente è così cattiva, si ferma all’apparenza e non guarda alla bellezza interiore di una persona, ma appena sa che sei straniera ti si allontana e ti tratta male?
O., 16 anni


Cara O,
La tua lettera è più importante di ogni risposta. Perché è un invito ai tuoi coetanei e a noi adulti a sentire la sofferenza causata da discriminazione e pregiudizi. Utilizzerò tre tasselli per comporre una piccola traccia per pensare. Il primo riguarda Michelle Obama. La first lady degli Stati Uniti (2009-2017) nel libro “Becoming. La mia storia” (Garzanti 2018) racconta aspetti confidenziali della propria vita. Un giorno, nella Elizabeth Garrett Anderson School, assiste ad uno spettacolo organizzato dalle studentesse desiderose di ascoltare un suo discorso. Osservando le adolescenti, riverberano in lei queste considerazioni: «Bastava guardarsi attorno nella sala e vedere i volti delle alunne per capire che, nonostante la loro forza, quelle ragazze avrebbero dovuto lavorare sodo per farsi notare. C’erano ragazze con lo hijab, ragazze per le quali l’inglese era una seconda lingua, ragazze con la pelle bruna delle più varie sfumature. Sapevo che avrebbero dovuto lottare contro gli stereotipi in cui le avrebbero costrette, tutti i modi con cui sarebbero state definite prima ancora che potessero capire chi erano. Avrebbero dovuto combattere l’invisibilità che tocca ai poveri, alle donne e alle persone di colore. Avrebbero dovuto impegnarsi per trovare la propria voce e non farsi sottovalutare, per evitare di essere messe a tacere. Avrebbero dovuto faticare anche solo per imparare. Ma i loro volti erano pieni di speranza, e adesso anch’io lo ero. Fu una strana, silenziosa rivelazione: erano me alla loro età. L’energia che sentii pulsare in quella scuola non aveva nulla a che fare con gli ostacoli. Era il potere di novecento ragazze che stavano lottando». Michelle descrive il nostro tempo: sa che la convivenza e il riscatto sono faticosi, ma afferma anche che: «dove c’è dolore c’è anche capacità di superarlo». L’augurio è che la tua energia positiva ti consenta di superare ogni barriera di indifferenza, perché la passione genera coinvolgimento e partecipazione. La seconda traccia è legata al libro Schiavi in un mondo libero di Gabriele Turi. Lo storico ricorda che Thomas Jefferson – uno degli autori della dichiarazione d'indipendenza americana del 4 luglio 1776 – «era proprietario di circa 150 schiavi, così come molti delegati alla Convenzione di Filadelfia del 1787». Se ci pensi è abbastanza curioso che nella dichiarazione sia scritto: «Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità». Tutti gli uomini sono creati uguali, ma con una piccola svista: l’omissione di una parte piuttosto consistente dell’umanità. C’è voluto tempo – e forse ce ne vorrà ancora –  perché gli uomini amplino la loro empatia. Oggi sappiamo che chi è insensibile ignora le emozioni dell’altro e là dove non c’è ascolto autentico le persone rispondono spesso con pregiudizi. La storia, tuttavia, mostra che la psiche umana impiega tempo per registrare che alcuni comportamenti sono sbagliati. Il terzo tassello nasce da un’intervista. Verso la fine dell’anno è stato chiesto ad uno scrittore di indicare un episodio che avrebbe voluto eliminare dalla propria vita. Egli ha risposto prontamente che avrebbe voluto rimuovere i segni delle dita dal volto della figlia a seguito di una reazione impulsiva in un momento in cui lei lo aveva apostrofato male. Magari la bambina si è ora dimenticata di tutto, ma sono convinto che c’è un dolore invisibile che le persone per bene si portano dentro, che non si annulla con il tempo e fa vergognare di gesti e parole che si sarebbero potuti evitare. Dico questo perché nessuno si debba poi pentire di non essere riuscito a cogliere la “bellezza interiore” in coloro che in un primo tempo sono stati allontanati per paura o per mancanza di semplice educazione. Affido la riflessione conclusiva ancora a Michelle Obama. Ecco la sua proposta: «Per ogni porta che è stata aperta a me, ho cercato di aprire la mia agli altri. Ed ecco cosa ho da dire alla fine: invitiamoci a vicenda a entrare. Forse possiamo cominciare ad avere meno paura, a fare meno ipotesi sbagliate, ad abbandonare i pregiudizi e gli stereotipi che ci dividono senza ragione. Forse possiamo comprendere meglio le condizioni che ci rendono uguali. Il punto non consiste nell’essere perfetti. Non consiste nel traguardo che si raggiunge. Il potere è consentire a sé stessi di farsi conoscere e ascoltare, avere una propria storia unica, usare la propria voce autentica. La grazia è essere disposti a conoscere e ascoltare gli altri».
Un caro saluto,
Alberto

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