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Cor-rispondenze

lunedì 8 aprile 2019

Come si giudica un libro


Risultati immagini per scegliere un libro

Caro professore,
Solitamente io scelgo un libro dal titolo o dall'immagine in copertina, ma dopo che il libro ha attirato la mia attenzione e la mia curiosità leggo sempre il riassuntino dietro. Mi è capitato molte volte di essere ingannata dalla copertina. Infatti, il libro che mi aveva attirato si è rivelato una delusione (comunque non era ciò che mi aspettavo). Allo stesso modo libri con una copertina che non destava curiosità in me si sono rivelati molto interessanti. Cose simili accadono con le persone, anch’esse sono libri da scegliere e giudicare. Quante volte noi uomini ci fermiamo solo alla copertina e al titolo della persona, invece di “girare il libro” e leggere il riassunto. A me è successo un po’ di tempo fa, di conoscere nuove persone tra cui due ragazze che all'inizio trovavo antipatiche, un po’ troppo vanitose e con anche quell'aria di superiorità. In questi mesi ho girato quei libri e ho iniziato a leggere il riassunto: mi piaceva quel libro, la parte più profonda! Ora non le trovo più antipatiche e anche se non sono proprio le mie migliori amiche, sono brave e gentili con me. Giudicare un libro dalla copertina non è mai una buona idea, anche se a volte è difficile resistere alla tentazione di comprarlo e sceglierlo senza leggerlo. Come si può resistere a questa tentazione? Come si giudica un libro?
Sofia, IA


Cara Sofia,
Il filosofo italiano del linguaggio Massimo Baldini, in un bel libro intitolato “Elogio del silenzio e della parola” (ed. Rubbettino) ha descritto con efficacia il lettore contemporaneo. Egli afferma che nel Novecento «fece la sua comparsa il lettore nomade, il lettore bracconiere, il lettore che procede per assaggi, che non legge più i testi per intero, ma per sondaggi, a salti, comparvero lettori che cannibalizzavano i testi, che procedevano tra le pagine delle opere con l'andatura zigzagante di coloro che passeggiano erborizzando». Devo dire che «passeggiare erborizzando» è la locuzione che prediligo, perché rappresenta bene il modo di muoversi tra i libri e gli autori. L’immagine del bovino è in fondo molto famigliare (spero non solo a me) e la sua andatura zigzagante è molto simile al nostro incedere in cerca di bellezza, di tracce per orientarci nel mondo e di ipotesi di lettura. Viaggiamo allora su questo doppio binario significativo: libro-essere umano, copertina-apparenza e realtà. I libri purtroppo mentono, omettono e promettono. Esattamente come le persone. Mentono quando assicurano quello che non possono mantenere: opere mediocri dal titolo pretenzioso che non producono avanzamenti della cultura o della comprensione. Omettono talvolta per necessità. Sul “Trattato teologico-politico” di Spinoza pubblicato in Olanda nel 1670 non era scritto il nome dell’autore, ma quell’omissione serviva a proteggere il filosofo e gli garantiva la possibilità di esprimere liberamente il suo pensiero. Altri ancora si impegnano senza mantenere. Tra il 1886 e il 1887 Nietzsche pensa di scrivere un’opera grandiosa dal titolo: “La volontà di potenza”. La cita esplicitamente in grassetto nello scritto “Genealogia della morale” e la annuncia persino sulla copertina del libro. Ma non la scriverà mai né la pubblicherà in vita. Nella letteratura succede spesso che il titolo o la copertina non abbiano rapporto con il contenuto. Ti sembrerà strano, ma i libri di letteratura non sono saggi, quindi non necessariamente il titolo è legato alla trama, può essere una semplice suggestione ricercata. Inoltre, il senso dato dall’autore è spesso diverso da quello che gli attribuisce il lettore e molti titoli dipendono da scelte commerciali per ottimizzare le vendite e non per chiarire il contenuto. Ma è giusto anche fare scelte casuali, che poi tanto casuali non sono, perché un libro che arriva in libreria e rimane lì per molto tempo è già un libro ampiamente selezionato. Per dire, se uno trova per caso Stefano Benni su uno scaffale e viene affascinato dalla sua scrittura, è vero che può aver scoperto l’autore per una congiuntura favorevole, ma il libro non era certo lì per caso. È probabile che per qualche fatalità si possano fare così grandi conoscenze, ed è anche bello essere stupiti dalla lettura e riconoscere da soli la bellezza, lo stile e la trama di un capolavoro. Sì, perché poi si desidera condividere quella bellezza anche con gli altri. Con l’esperienza si diventa più scaltri nella scelta delle opere, perché ognuno costruisce i propri criteri di lettura, i filtri a cui affidarsi per l’interpretazione degli eventi o per lo stile della narrazione. Ma il fascino della scoperta casuale, l’incanto del momento, la piacevolezza dell’incontro, l’apertura alla novità che deve manifestarsi rimangono piaceri assolutamente unici. Scegliere un libro, senza le circospette lenti colorate degli adulti, è un atto di fiducia, come quando ci accingiamo ad assaggiare un cibo nuovo. In ogni caso per essere certi di essere liberi occorre fare propri i consigli di Pennac, ossia i suoi suggerimenti formalizzati nei «dieci diritti del lettore» (Come un romanzo, Feltrinelli). Il diritto di non leggere, di saltare le pagine, di non finire il libro. Qualche volta – per i libri come per le persone – per non cadere in errori fatali può essere molto utile affidarsi ad un altro imprescindibile diritto: quello di rileggere.
Un caro saluto,
Alberto

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