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Cor-rispondenze

lunedì 16 dicembre 2019

Rinascere


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Caro professore,
Alle medie ho vissuto uno dei periodi più brutti della mia vita: avevo pochi amici e nessuno mi considerava. Ero diventata come un fantasma, ho iniziato a chiudermi in me stessa e a sperare che il tempo passasse veloce. Non vedevo l’ora di scappare dai miei compagni! Alla fine è arrivato giugno e dopo tre mesi ho ricominciato la scuola. Con la nuova classe mi sono trovata benissimo, perché avevamo interessi comuni e nessuno era considerato uno scemo perché amava studiare (cosa successa invece alle medie). Dopo poche settimane ormai potevo dire che ero rinata, non ero più quella di una volta. Questo mi ha portato a riflettere e a pensare che quindi, a volte, si può sul serio rinascere?
Matilde, 16 anni



Cara Matilde,
Due gesti di due grandi filosofi greci, Socrate e Platone, sono secondo me legati alla nascita e alla rinascita. Come è noto, la mamma di Socrate si chiamava Fenarete e di professione faceva la levatrice, ossia l’ostetrica. Assisteva le giovani donne in quel momento delicato e bellissimo in cui un bambino viene al mondo. Nel Teeteto di Platone, Socrate paragona la propria attività a quella della madre, perché sente che il proprio compito è quello di assistere non più le donne, ma gli uomini in un altro tipo di parto, altrettanto complesso, quello di dare alla luce idee vere (la nascita). Egli riteneva tale mansione più ardua di quella della madre, perché se dal parto naturale nascono sempre bambini in carne e ossa (veri), dalle teste degli uomini si originano indifferentemente menzogne e verità. Il compito del filosofo era pertanto duplice: aiutare gli uomini a elaborare delle verità e favorire nei giovani la capacità di distinguere tra impostura e autenticità (la rinascita). Platone mette pertanto in bocca a Socrate queste parole: «E il pregio più grande in questa nostra arte, [è] mettere alla prova, per quanto è possibile in ogni modo, se il pensiero del giovane partorisce immagini o menzogne o invece un qualcosa di fertile e di vero». Perché leggendo la tua lettera ho pensato all’attività di Socrate? Per due ragioni: la prima è perché le persone nascono e rinascono ogni volta che pensano in modo personale, come hai fatto tu; ed essere autentici può essere scomodo e doloroso quando si vive nel conformismo acritico di una classe poco illuminata; e la seconda è perché per pensare è necessario uscire o – letteralmente – essere condotti fuori da qualche area desolata, di immobilità o di inerzia culturale. Abbiamo bisogno di una levatrice in famiglia, nella scuola, tra gli amici che ci consenta di dare origine a noi stessi, alla nostra vera natura. La tua legittima levatrice, per fortuna, è stata la scuola. I ragazzi delle medie, si sa, possono essere feroci con chi è diverso, con chi ha già maturato una passione autentica. L’indolenza e la passività, purtroppo, richiedono tempo per essere sconfitte e non tutti (non solo a quell’età) riescono a compiere la metamorfosi verso l’individuazione autentica. Pensando alla liberazione dalle catene mi è poi venuto in mente il mito della caverna che Platone racconta nel VII libro della Repubblica. Platone riferisce di schiavi legati e costretti a vedere ombre proiettate su un muro. Gli schiavi credono che le ombre, come le sagome di un grande schermo cinematografico, siano l’unica realtà. Ma uno di essi riesce a liberarsi dalle catene e scorge che c’è un mondo più complesso rispetto a quello ordinario. Scopre nuovi oggetti e il luogo da cui proviene la luce. Poiché i suoi occhi non sono abituati al bagliore luminoso, all’inizio non distingue esattamente la realtà, ma poi piano piano si abitua ad essa e sente che il suo bisogno di verità è appagato solo da quella nuova dimensione (la nascita). Platone insegna che la condizione originaria dell’uomo è pertanto di lontananza dalla verità (la vita nella caverna-classe) e che la verità è il frutto di un percorso non certo facile; tuttavia, solo grazie a questo cammino l’uomo si libera dai ceppi dell’ignoranza. Allora, una volta nati, rinascere è fondamentale. Non perché si dovranno vivere continui cicli di vite, come pensava l’orfismo antico. Ma perché, anche se l’atto fisico della nascita avviene una volta sola nella vita, la crescita e la propria espansione richiedono un continuo processo di generazione. Potremmo fermarci qui, ma Platone è anche – e soprattutto – un filosofo politico. Decide pertanto di continuare la storiella e scrive che la persona che si sente appagata nel nuovo contesto potrebbe anche starsene lì, a godere della meraviglia. Invece no. Pensa ai suoi compagni e allora torna nella caverna per cercare di informarli. Purtroppo, il passaggio dalla luce al buio rende il suo incedere incerto e le sue parole sono incomprese. I vecchi amici lo deridono e lo allontanano sino a condannarlo a morte, proprio come è successo a Socrate. Ma Platone afferma che quell’uomo è rinato un’altra volta quando ha deciso di tornare a dialogare anche con coloro che lo “prendevano in giro”. Il filosofo greco ci ha insegnato che la rinascita non è solo un momento individuale: il risveglio più importante è quello collettivo. Si può allora rinascere “sul serio” e poi rinascere ancora: senza necessariamente attendere un futuro lontano, perché anche tu – già da ora – puoi decidere di essere levatrice per i tuoi amici.
Un caro saluto,
Alberto

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