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Cor-rispondenze

lunedì 24 febbraio 2020

Siamo macchine?






Caro professore,
A forza di studiare il sistema nervoso, la perfezione, la logica del nostro cervello e gli impulsi elettrici che corrono a velocità incredibili nel nostro corpo, credo di aver preso la scossa. Infatti, vedendo come per ogni stimolo esterno registrato vi sia una risposta automatica da parte del nostro inconscio, mi sono chiesto se ogni nostro movimento, parola, sentimento e pensiero possano essere una semplice reazione ad una serie di fattori esterni. Insomma se l’uomo, che è il solo sulla Terra a riuscire a interpretare la matematica, possa essere rinchiuso in un grande e complesso algoritmo. Ammetto che questa possibilità mi spaventa, sia perché ci renderebbe facilmente controllabili sia perché l’etica perderebbe la sua funzione ed il suo significato. Facendo un esempio concreto: un criminale non potrebbe più essere considerato colpevole delle sue azioni in quanto queste sarebbero conseguenza necessaria della sua infanzia difficile e di tutte le sue sofferenze ed esperienze passate che l’hanno portato ad avvicinarsi alla malavita. Alla domanda: “Di chi è la colpa?”, la risposta sarebbe: “Di tutti e di nessuno”. Certo, anche la scienza parla di innatismo, ma questo non potrebbe essere considerato un criterio di giustizia valido in quanto le caratteristiche innate, proprio in quanto tali, non vengono scelte dall’individuo. Dunque, siamo solamente macchine che si limitano a rispondere agli stimoli della natura o dentro di noi c’é qualcosa di più, una forza che rende impossibile incatenarci in un triste e grigio algoritmo?
Stefano, IV H


Caro Stefano,
Se fossimo solo macchine, allora dovremmo abolire dal nostro vocabolario la parola responsabilità. Oppure dovremmo impiegarla senza riferimento alla sua etimologia. Responsabilità deriva dal latino “respondēre”, che significa rispondere. Siamo responsabili in quanto in grado di rispondere dei nostri atti: delle nostre intenzioni e dei nostri scopi. Se fossimo solo macchine, allora dovremmo intendere la parola responsabilità come semplice effetto causale privo di intenzionalità: «la pioggia continua è responsabile del cattivo raccolto» o «il riscaldamento del pianeta è responsabile del sollevamento delle acque e delle migrazioni». C’è dunque un modo di utilizzare tale parola facendo riferimento ad un semplice concatenamento di cause ed effetti, come nel gioco del domino. Se tutto fosse determinato, hai ragione, non avrebbe senso parlare di responsabilità. Per questo nella giurisprudenza si parla di capacità di “intendere e di volere” per dichiarare qualcuno colpevole. Tuttavia, se i nostri comportamenti fossero semplici reazioni a stimoli consci e inconsci, allora sarebbe davvero difficile stabilire in che misura abbiamo cognizione delle nostre azioni e assumere il criterio della responsabilità per giudicare colpe o implicazioni morali dell’uomo sull’uomo, sugli altri esseri viventi e sull’ambiente. Potremmo ancora chiederci: il fatto che siamo agiti da motivazioni inconsce, genetica e cultura, può produrre un condizionamento del 100% del comportamento o di un tasso minore? E in che percentuale saremmo responsabili? Anche se a livello genetico, quando si parla delle caratteristiche comuni degli uomini, può essere corretto utilizzare il termine “macchine”, a un livello più elevato di complessità sembra che la responsabilità possa ricomparire e connotare le azioni degli uomini. A livello genetico, scrive il biologo britannico Richard Dawkins ne Il fiume della vita [Bur 2008]: «Noi - e noi significa tutti gli esseri viventi - siamo macchine per la sopravvivenza programmate per propagare il data base digitale che ha presieduto alla programmazione». Tuttavia, anche se dovessimo ridurre l’esistenza ad una semplice competizione tra macchine per la sopravvivenza, rimarrebbe ancora molto spazio per decidere “come” vivere quell’esistenza. La filosofa Hannah Arendt a questo proposito ha scritto delle pagine molto belle in un libro che si intitola Tra passato e futuro (Garzanti 1999). Scrive Arendt: «In effetti, all'ambito delle cose umane manca il requisito primario che le dimostri soggette al principio di causalità: la prevedibilità dell'effetto, una volta conosciute tutte le cause». È vero: anche conosciute tutte le cause che influiscono su di noi, i comportamenti messi in atto dai diversi soggetti possono essere molto diversi. Secondo me, ci sono almeno due buone ragioni per ritenere che, nonostante i condizionamenti, l’uomo abbia qualche possibilità di non essere completamente determinato dalla natura. La prima ce l’ha insegnata Immanuel Kant. Egli distingueva tra il piano della fisica, dove tutto è sottoposto al meccanismo di causa-effetto, e il piano della morale, dove l’uomo può decidere se l’azione che ha in mente di attuare è giusta o no. E poiché l’uomo riesce a comprendere che cosa è giusto, e moralmente avverte il dovere di compierlo, solo a questo punto è libero. Perché può scegliere se adempiere o meno alle indicazioni della ragione. Se può rifiutarsi di fare il bene, significa che non è pienamente vincolato dalla natura. E la seconda ragione è data dal fatto che gli uomini non agiscono solo spinti da cause efficienti, ma soprattutto da cause finali. Ossia decidono ciò che vogliono diventare e ciò che è importante per la loro vita.
Un caro saluto,
Alberto

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