Cerca nel blog

Cor-rispondenze

lunedì 9 marzo 2020

Sentieri nel bosco


Risultato immagini per sentieri nel bosco


Caro professore,
Spesso, andando a correre nel bosco, mi è capitato di provare nuove strade, nuovi sentieri che, inoltrandosi più nell’oscurità, fanno sorgere questioni come… “Ma starò procedendo nella direzione giusta?” o “E se mi perdo, se sbaglio, che faccio?”. Ecco, vorrei capire perché esiste quel “Se mi perdo, se mi sbaglio, che faccio?” e invece non si possa mai essere sicuri del proprio operato, della strada intrapresa. Di solito si sente la risposta “Perché si è in costante paragone con gli altri, con una realtà che è nostra ma non ci appartiene”, ma questo non mi basta…
Francesco 4h


Caro Francesco,
La vita è fatta più di sentieri che di strade o autostrade. Talvolta è solo considerando retrospettivamente la nostra esistenza che riconosciamo di aver effettivamente percorso una strada, mentre nel viaggio quotidiano che dà origine all’evoluzione personale è difficile comprendere anticipatamente se lasceremo una linea continua sul foglio della vita. Sia il movimento dell’umanità sia quello dei singoli individui si originano da sentieri immaginati e poi creati in aree che prima non sembravano praticabili. È facile e consolante, ad un certo punto della vita, fare un bilancio ed unire i puntini del passato in una narrazione coerente, ma molto spesso quando la nostra vita viene abbozzata, la direzione non è affatto chiara. E la tua domanda: “Ma starò procedendo nella direzione giusta?” è l’interrogativo che ciascuno porta con sé in ogni momento in cui deve compiere una scelta importante, perché le scelte danno direzione alla vita, ma ad ogni bivio la stessa questione si ripropone. E l’angoscia non si origina solo dalla responsabilità per aver intrapreso una via, ma soprattutto dal timore per la qualità della persona che potremmo generare. I sentieri della vita non sono come quelli che percorrono le biglie in circuiti predefiniti sulla spiaggia. Questi ultimi consentono a tutte quante di avanzare più o meno speditamente in una stessa direzione, mentre i sentieri della vita trasformano la vita, perché questa si genera insieme al sentiero. Non ci sono istruzioni. Se si sbaglia e ci si perde occorre trovare da soli un’uscita o aver la forza di creare una nuova strada. Credo che così si sia mossa un po’ tutta l’umanità. Nella storia della filosofia il bisogno di percorrere il sentiero giusto arriva da molto lontano. Eraclito e Parmenide si sono occupati della modalità con cui gli uomini conoscono la realtà. Eraclito ha parlato di due strade diverse che si aprono alla conoscenza e per indicarle ha fatto ricorso a due categorie di uomini: i dormienti e gli svegli; i primi non in grado di procedere oltre l’apparenza, i secondi in grado di cogliere una realtà più profonda con la ragione. E anche Parmenide – seppure con esiti opposti – ha rivelato due sentieri che si aprono all’uomo: quello della verità «ben rotonda» e quello del mondo dell’apparenza. Poi anche Platone ha tracciato uno snodo per la conoscenza: la «doxa», l’opinione e «l’episteme», la conoscenza razionale. Ma la filosofia ha percorso tante strade, aprendo innumerevoli direzioni non solo nella teoria della conoscenza, ma nel diritto, nell’etica o nell’estetica. Il mondo cristiano ha tracciato altri sentieri, che si riferiscono al rapporto tra l’interiorità dell’uomo e la trascendenza e così ha accresciuto la mappa della vita con il sentiero del peccato che si oppone a quello della virtù e quello dell’errore che ostacola quello della verità. Nell’Ottocento, esprimendo la solitudine dell’uomo che procede a tentoni poiché non si fida più delle grandi narrazioni del mondo, Nietzsche ha scritto: «Io batto nuovi sentieri, un discorso nuovo viene a me; mi sono stancato, come tutti quelli che creano, delle vecchie lingue. Il mio spirito non vuole più camminare su suole consunte». Ed è curioso che nel Novecento Heidegger nel 1950 abbia pubblicato un libro dal titolo Holzwege, ossia Sentieri interrotti, per far riferimento ad una svolta della propria filosofia. E poi chissà quanti sentieri ha intrapreso l’uomo, nella conoscenza scientifica, nelle strade che conducono alla democrazia, alla medicina o alle leggi. Ma tu chiedi perché esiste quella dimensione così angosciante riassunta nella domanda: “Se mi perdo, se mi sbaglio, che faccio?”. Credo che il peso di quella domanda non derivi tanto dal confronto con gli altri, ma dalla consapevolezza che la vita è irreversibile. Se la natura può generare infinite specie viventi e restare priva di quelle che non riescono bene, la vita dell’uomo è unica e il peso di sciuparla è troppo forte. Filone Alessandrino, nel De animalibus, racconta una storia che ci può essere utile. Scrive l’autore: «Un cane, nell’inseguire una fiera, essendo giunto a una profonda fossa presso la quale correvano due sentieri, uno verso destra, l’altro verso sinistra, fermatosi un attimo meditava quale prendere. Correndo a destra e non trovando alcuna orma, tornò indietro e andò nell’altra direzione. Ma poiché neanche in questa appariva alcun segno, saltando al di là del fossato indagò curiosamente, accelerando la sua corsa a seconda di ciò che gli diceva il fiuto». Forse anche noi facciamo un po’ così: là dove non troviamo più tracce che ci indicano la direzione, compiamo un salto che ci permette di creare una situazione nuova e magari di ritrovare il nostro obiettivo. Se si conosce la meta, una strada si genera anche quando ci si perde.
Un caro saluto,
Alberto

Nessun commento: