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lunedì 9 novembre 2020

I confini dell'anima, 2/2




Il secondo sentiero che si snoda nella storia del pensiero occidentale ha a che fare con l’esplorazione di sé. Il fatto che nel viaggio interiore si possa compiere una discesa senza fine ha fatto dire al filosofo e psicologo americano James Hillman, nel libro “I sogni e il mondo infero”, che – proprio con Eraclito – «agli albori della filosofia, è adombrato l’inconscio della psicologia». Eraclito è dunque considerato lo scopritore della psiche e del profondo («Interrogai me stesso»). L’analisi del mondo interiore, propria di ciascun uomo, si è poi arricchita sino a toccare vette altissime nelle analisi di poeti, letterati, filosofi e psicologi. Ogni uomo conosce l’importanza di tale dimensione. Il poeta tedesco Novalis nel “Diario” ha scritto: «Il mondo interiore mi appartiene, in certo modo, più del mondo esterno. È la mia vera patria [...] Sogniamo di viaggiare per l'universo, ma l'universo non è forse dentro di noi? Le profondità del nostro spirito ci sono ignote, ma la via misteriosa va verso il mondo interiore. È in noi, o in nessun luogo, l’eternità coi suoi mondi, il passato e il futuro [ ...]. Ogni discesa in sé, ogni sguardo rivolto all'interno, è al tempo stesso ascensione, assunzione, sguardo rivolto alla vera realtà esterna». E quante volte la poetessa statunitense Emily Dickinson ha mostrato nelle sue liriche l’incanto nell’esplorazione della «finita infinità» dell’anima? Scrive Dickinson: «C’è una solitudine dello spazio / una solitudine del mare / una solitudine della morte, ma / sono tutte compagnia / paragonate a quell’altro spazio più nel fondo, / quella privatezza polare: / un’anima sola con se stessa / finita infinità». Per ampliare i confini dell’anima occorre però mettersi in viaggio. Perché nel viaggio fisico (metafora di quello della vita) si avvia anche un particolare itinerario psicologico, dove gli incontri, le differenze linguistiche e sociali portano a modificare i propri punti di vista: spesso, culture e persone che apparivano lontane si scoprono affini; viceversa, culture e persone vicine si possono sentire estranee. Come il cambiamento di luogo produce una sensazione di “spaesamento” fisico, così anche il viaggio interiore conduce ad una forma di “spaesamento” intimo, perché l’immagine di sé che ogni uomo si costruisce gradualmente fluidifica ed è rimessa in gioco da nuove acquisizioni. Per gli antichi i limiti fisici erano rappresentati da un confine geografico: le colonne d’Ercole (lo stretto di Gibilterra). Su di esse era posta l’iscrizione «non plus ultra» («non più oltre»), perché sembrava che non ci fosse altro da scoprire. Ma poi i confini geografici si sono spostati, e così, ad esempio, l’imperatore Carlo V adottò un altro motto «Más allá» («più oltre»), diventando il signore del Nuovo Mondo. Oggi sappiamo che si sono dilatati i confini non solo sul nostro pianeta, ma anche nello spazio. Come le colonne d’Ercole geografiche vengono continuamente spostate, allora possiamo dire – con Eraclito – che non ci sono colonne d’Ercole dell’anima, perché anch’esse indicano solo il punto provvisorio in cui si è giunti nell’interpretazione di sé. Da questa modalità di considerare l’infinito all’interno di sé si sono aperte molte strade: una di queste ha condotto gli uomini ad individuare un incontro possibile tra uomo e Dio – l’infinito della psiche che incontra l’infinito di Dio –, ad esempio in S. Agostino (354-430) e nella storia cristiana. C’è un passo de “La vera religione” in cui il filosofo e teologo cristiano Aurelio Agostino dice: «non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: la verità abita nell’uomo interiore e, se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso. Ma ricordati, quando trascendi te stesso, che trascendi l’anima razionale: tendi, pertanto, là dove si accende il lume stesso della ragione. A che cosa perviene infatti chi sa ben usare la ragione, se non alla verità?». E per Agostino la verità – ossia Dio – si può trovare in un percorso di introspezione. In Agostino l’uomo scopre come l’infinito della psiche possa scorgere Dio non tanto nel mondo esteriore quanto nell’interiorità. Agostino ha inaugurato una grande tradizione: l’unico modo possibile di incontrare Dio è quello di meditare e lasciare che quell’infinito che abita costitutivamente l’uomo dialoghi ininterrottamente con lui. Ma poi c’è tutta la grande tradizione letteraria e psicologica, che ha mostrato l’inesauribilità dell’indagine del “profondo”. Questa prende spunto da un’altra frase di Eraclito in cui il filosofo ricorda che «è dell’anima un logos che accresce se stesso». Da Freud a Jung a Hillman sappiamo che ciò che è profondo condiziona l’uomo, ma non si lascia ridurre alla comprensione razionale. Hillman ci aiuta a cogliere l’ultima parte della frase di Eraclito quando dice che: «l’anima è un’operazione di penetrazione, di visione in profondità, che mentre procede fa anima». La parola, allora, produce continua conoscenza. Ma l’anima umana rimane insondabile, perché la sua profondità è abissale. La parola abisso (a-byssos) significa infatti «senza fondo». Sono dunque inesauribili i nessi che si possono creare nelle continue rappresentazioni che gli uomini hanno di sé: essi cambiano con il tempo, con gli anni e con gli incontri. Forse l’attuale “non plus ultra” è quello indagato dalle neuroscienze: un limite che ci ricorda che tutta l’esperienza è interna al cervello. «Finita infinità».
Un caro saluto,
Alberto

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