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Cor-rispondenze

lunedì 29 novembre 2021

Cogito, ergo sum 1/3



Capita un po’ a tutti – ed è capitato anche al buon Cartesio – di riconoscere che nei nostri pensieri abbiamo accolto fin dalla tenera età informazioni illusorie e che i ragionamenti che poggiavano su di esse erano quantomeno discutibili e tali da condurci in errore. Ci sono momenti nella vita in cui occorre «rimuovere e rovesciare» le vecchie conoscenze e ricominciare da zero, magari proprio dalle fondamenta. Cartesio sa che si tratta di un’impresa «immane» ed estenuante non solo per l’uomo comune. Pensiamoci bene: da dove provengono le informazioni e i convincimenti che abbiamo? Dai sensi e dalla tradizione. Purtroppo talvolta i sensi sbagliano: le strade non rimpiccioliscono a distanza e le mani poste in un secchiello pieno d’acqua non aumentano di volume; così, anche la tradizione viene spesso smentita da scoperte inattese e nuove acquisizioni. Secondo Cartesio è  bene «non fidarsi mai completamente di coloro che una sola volta ci hanno ingannato». Consideriamo poi che persino i sogni ci inducono a credere vere realtà che invece sono fittizie e che talvolta non ci è facile distinguere tra la veglia e il sonno: una tapparella che cade può far visualizzare la ghigliottina e proiettarci ai tempi della rivoluzione francese; allora tremiamo di paura fino a quando non ci svegliamo, perché crediamo che non sia affatto uno scherzo e preferiremmo sapere di avere la testa dove l’avevamo lasciata la sera prima di addormentarci. Alla fine occorre ammettere che le presunte verità sono vacillanti e che forse è meglio lasciare aperta la porta al dubbio, per evitare di aderire con passione a ciò che non si può asserire con certezza. Se poi dietro l’organizzazione del mondo, invece di un Dio, fonte di verità, ci fosse un genio maligno sommamente potente e astuto che si diverte ad ingannarci, noi crederemmo vere cose che non lo sono senza neppure la possibilità di rendercene conto. Uno potrebbe dire: «beh, due più due fa quattro anche nei sogni. Vi è quindi almeno una corrispondenza tra ciò che accade in sogno e ciò che accade nel mondo reale». L’ipotesi del genio maligno, però, non è una stravaganza. Fuori dalla metafora, vuol dire che se la nostra modalità di condurre i ragionamenti – così come la struttura del calcolo – fosse difettosa, penseremmo di ragionare e conteggiare in modo corretto senza fiutare l’abbaglio. Bizzarro? No. Immaginiamo di viaggiare in auto e di avere la convergenza delle ruote non perfettamente allineata. Se non avessimo punti di riferimento precisi, saremmo convinti di procedere dritto, ignari che un lieve scostamento dell’asse della ruota già dopo pochi chilometri ci porterebbe molto lontano dalla direzione desiderata. Se tutte le auto avessero poi tale difetto, tutti viaggerebbero con una deviazione inconsapevole credendo di procedere su un rettilineo. Facciamo allora il punto della situazione: i sensi ci deludono, facciamo fatica a distinguere il sonno dalla veglia, a volte anche la ragione deduce informazioni sbagliate, e non sappiamo se il nostro software è stato progettato bene o è difettoso. Tutto questo getta un po’ di inquietudine nella mente umana e potremmo dire con Cartesio: «come improvvisamente caduto in un gorgo profondo, sono così agitato da non riuscire né ad appoggiare i piedi sul fondo, né a risalire a nuoto in superficie». Che cosa possiamo affermare di certo? Possiamo anche illuderci della nostra esistenza? Cartesio dice di no, perché il genietto potrebbe confonderci su quello che avvertiamo (il mio corpo è diverso da come lo percepisco) e su quello che pensiamo (le idee possono non avere un rapporto con la realtà), ma se noi ci inganniamo proprio nel momento in cui pensiamo, ciò significa che quel «qualcosa che pensa» e si inganna deve pur esistere per essere ingannato. Scrive il filosofo: «Non possiamo dubitare senza esistere mentre dubitiamo; e questo è ciò che per primo veniamo a conoscere quando filosofiamo con ordine». Ed ecco allora che Cartesio è pronto per affermare la sua scoperta: «E notando che questa verità “Io penso, dunque io sono” era così ferma e certa che tutte le più stravaganti supposizioni degli scettici non erano in grado di scuoterla, ritenni che potevo accoglierla, senza scrupolo, come il primo principio della filosofia che cercavo». Approfondendo la tematica, egli si rende conto che il pensiero e la materia sono davvero diversi, come l’acqua e l’olio. Il pensiero non ha estensione, cioè non ha dimensioni, mentre la materia deve per forza avere qualche dimensione, seppure piccolissima. Parla così del pensiero come di una «cosa pensante non estesa», «res cogitans, non extensa», e della materia come di una cosa estesa, ma non pensante. Secondo l’autore in noi convivono due realtà completamente diverse: il pensiero e l’estensione, la mente e la materia, la ragione e il corpo. La materia è estesa e quindi divisibile, il pensiero è inesteso; la materia è finita, il pensiero infinito; la materia è inconsapevole, il pensiero è consapevole. Da qualche parte deve però esistere una sorta di interfaccia che li collega. Cartesio individua il collegamento nella «ghiandola pineale» («conarium»), ossia l’epìfisi, una ghiandola posta nel cervello. Scrive il filosofo: «C'è nel cervello una piccola ghiandola in cui l'anima esercita le sue funzioni più specificamente che non nelle altre parti». Già, ma pensiero e materia sono ancora troppo diversi per poter interagire tra loro. L’uomo, da questo momento, difficilmente può scorgere la propria unità.
Un caro saluto,
Alberto

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