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Cor-rispondenze

lunedì 13 dicembre 2021

Cogito, ergo sum 2/3

 


C’è un’unica certezza che neanche il dubbio può intaccare: l’evidenza di esistere. Ma che cosa esiste esattamente? Un uomo? Un corpo? In realtà potremmo ancora ingannarci sui risultati delle nostre percezioni e dietro l’angolo potrebbe sempre esserci il genietto maligno che si beffa di noi. Per ora possiamo solo affermare che c’è «qualcosa che pensa». Per poter dubitare, ed eventualmente essere ingannati su tutto, occorre necessariamente che qualcosa esista, anche nella sola forma del pensiero. “Io penso, dunque io esisto” non è però il frutto di un ragionamento – di un sillogismo –, ma è un’intuizione immediata della mente – come una luce che illumina l’esistenza di una realtà nel momento in cui si accende – tanto che nelle “Meditazioni metafisiche” (1641) l’autore abbrevierà ancora l’espressione in un laconico: “io sono, io esisto”. Ma per quanto tempo? Beh, abbiamo la certezza di esistere almeno per tutto il tempo in cui pensiamo. Quella cosa che pensa è tuttavia anche «una cosa che dubita, che concepisce, che afferma, che nega, che vuole, che non vuole, che immagina anche, e che sente». Di cosa parliamo quando parliamo della coscienza «che ci abbandona alla sera quando ci addormentiamo e ricompare al mattino quando ci svegliamo»? Cartesio ha immaginato l’esistenza di una “cosa pensante” completamente separata dal corpo: «una sostanza la cui intera essenza o natura non è che pensare, e che, per essere, non ha bisogno di alcun luogo, né dipende da alcuna cosa materiale. Cosicché questo io, ovvero l’anima per la quale sono quel che sono, è interamente distinta dal corpo ed è anche più facile a conoscersi di esso e, quand’anche il corpo non esistesse, l’anima non cesserebbe di essere tutto ciò che è». Nella IV parte del “Discorso sul metodo”, egli afferma che ad un certo punto della propria ricerca ha constatato il fatto che il pensiero e il corpo sono due nature completamente diverse. Le ha chiamate “sostanze”, per indicare due oggetti eterogenei: il pensiero, è denominato “res cogitans”, il corpo, “res extensa”. Cartesio ha concepito il pensiero incorporeo, e non fisico; aspaziale, a differenza della materia che ha estensione ed è riconducibile alle tre dimensioni; libero, mentre gli oggetti della fisica sono sottoposti alle leggi della natura e dunque meccanicamente determinati; consapevole, a differenza della materia che è ignara di esistere e di ciò che accade. Anche il tempo funzionerebbe in modo diverso per queste due realtà: se nella fisica scorre in un’unica direzione, il pensiero non sembra essere sottoposto ad alcun vincolo e si può muovere avanti e indietro affrancandosi ancora una volta dalla modalità a cui è sottoposta la materia. Nell’era dei computer, non si poteva certo escludere la metafora del cervello come hardware, la macchina e della mente come software, il pensiero, la coscienza. Già, ma se si segue l’esempio di Cartesio e li si considera strutturalmente eterogenei allora è difficile che possano interagire. Il filosofo britannico Gilbert Ryle in “Il concetto di mente” nel 1949 ha qualificato questo modo di considerare il rapporto mente e corpo con l’immagine dello «spettro nella macchina» e ha rigettato tale idea come un «mito». Il premio Nobel per la medicina, Gerald M. Edelman, ha invece ritenuto che le nuove ricerche sulla mente dell’inizio del secolo scorso avrebbero condotto ad una «rivoluzione scientifica di più ampia portata». E così è stato: le neuroscienze hanno mostrato che la mente è un prodotto dell’evoluzione e non è una “sostanza” in senso cartesiano. Più che due cose diverse, oggi si tende a pensare che la mente sia un processo e non una cosa o un oggetto immateriale. Il neuroscienziato portoghese Antonio Damasio, ha curiosamente intitolato un libro “L’errore di Cartesio”. In quest’opera egli ricorda semplicemente che prima viene il corpo (l’essere) e poi gradualmente l’attività del pensiero. Scrive pertanto: «A un certo punto dell'evoluzione, una coscienza elementare ebbe inizio. Con essa arrivò una mente, semplice; aumentando la complessità della mente, sopravvenne la possibilità di pensare e, ancora più tardi, di usare il linguaggio per comunicare e organizzare meglio il pensiero. Per noi, allora, all'inizio vi fu l'essere e solo in seguito vi fu il pensiero; e noi adesso, quando veniamo al mondo e ci sviluppiamo, ancora cominciamo con l'essere e solo in seguito pensiamo. Noi siamo, e quindi pensiamo; e pensiamo solo nella misura in cui siamo, dal momento che il pensare è causato dalle strutture e dalle attività dell'essere». Presentando i risultati dell’attività della propria ricerca, egli sottolinea il malinteso di Cartesio dicendo: «Eccolo, l’errore di Cartesio: ecco l’abissale separazione tra corpo e mente - tra la materia del corpo, dotata di dimensioni, mossa meccanicamente, infinitamente divisibile, da un lato, e la “stoffa” della mente, non misurabile, priva di dimensioni, non attivabile con un comando meccanico, non divisibile; ecco il suggerimento che il giudizio morale e il ragionamento e la sofferenza che viene dal dolore fisico o da turbamento emotivo possano esistere separati dal corpo. In particolare: la separazione delle più elaborate attività della mente dalla struttura e dal funzionamento di un organismo biologico». Egli ricorda che l’uomo è un’unità psico-fisica. Spinoza l’aveva capito. Ed è per questo che il neurobiologo, evidentemente appassionato di filosofia, ha continuato la propria opera di divulgazione con un secondo libro dal titolo “Alla ricerca di Spinoza”.

Un caro saluto,

Alberto

 

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