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Cor-rispondenze

lunedì 23 gennaio 2023

Al di là del bene e del male

 


Ecco una questione spinosa: “Al di là del bene e del male” o “al di qua del bene e del male”? Quale espressione vi sembra preferibile? La tematica è intrigante, le proposizioni appaiono simili, pare che la posta in gioco sia la stessa, ma il modo di affrontare la vita che discende dalla condivisione della prima o della seconda valutazione è profondamente diverso. Questa settimana indaghiamo la prima espressione e rinviamo alla prossima il commento della seconda. La frase «al di là del bene e del male» è il titolo di un libro di Nietzsche (1886) scritto nel periodo in cui il filosofo lavorava ad una delle sue opere più importanti, “Così parlò Zarathustra” («durante gli intermezzi di quella nascita»). Nietzsche afferma che, dopo aver «vagabondato» tra molte morali «più raffinate e più rozze che hanno dominato fino ad oggi o dominano ancora sulla terra», è riuscito a classificare la varietà dei casi in cui si è imbattuto in due tipologie fondamentali. Il giudizio del filosofo è perentorio, esistono «una morale dei signori» e «una morale degli schiavi». Nella storia si possono individuare fondamentalmente due classi sociali, ossia due gruppi antagonisti: i dominatori e i dominati di ogni epoca. «Bene» e «male» avranno dunque significati diversi a seconda se a creare la tavola dei valori saranno i primi o i secondi. Scrive l’autore: «Le differenziazioni morali di valore sono sorte o in mezzo a una stirpe dominante, che con un senso di benessere acquistava coscienza della propria distinzione da quella dominata - oppure in mezzo ai dominati, gli schiavi e i subordinati di ogni grado». Nel corso dei secoli i dominatori hanno imposto i propri valori e hanno determinato un preciso significato da attribuire ai concetti di «bene» e «male»; in altri periodi, i dominati che si sono ribellati alle condizioni dispotiche e opprimenti dei primi hanno ribaltato quella tavola dei valori e ne hanno imposto una alternativa. «Bene» e «male» non indicano pertanto delle realtà oggettive («ontologiche»): le azioni sono considerate buone o cattive a seconda dei punti di vista e dell’utilità di chi le pratica. Gli aristocratici, ad esempio, nelle scelte di vita esprimono la loro volontà di potenza e, secondo l’autore, sono pertanto degli autorevoli creatori di valori, mentre gli schiavi e gli oppressi, poiché subordinano se stessi alla collettività e considerano l’individuo meno importante della comunità, pretendono che questi agisca non per se stesso ma per gli altri. Privilegiano dunque azioni di segno opposto, quali la compassione e l’altruismo. Gli aristocratici considerano «buono» ciò che è superiore ed esprime fierezza d’animo e disprezzano chi non sa elevarsi ad essere sufficientemente orgoglioso, a compiacersi di sé. In questo caso i termini «buono» o «cattivo» vengono tradotti nei concetti di «nobile» e «spregevole». Scrive Nietzsche: «L’uomo di specie nobile sente se stesso come determinante il valore, non ha bisogno di riscuotere approvazione, il suo giudizio è «quel che è dannoso a me, è dannoso in se stesso», conosce se stesso come quel che unicamente conferisce dignità alle cose, egli è creatore di valori». Chi è forte fa un po’ quello che gli pare e dà valore a ciò che potenzia la propria attività. La trasposizione dei concetti di «bene» e «male» nelle categorie di «buono» e «malvagio» ha invece un’altra origine: rispecchia la visione – e dunque la morale – degli oppressi e dei sofferenti, che serve loro a sopportare il peso dell’esistenza. I deboli definiscono pertanto “malvagio” ciò che un dominatore considera invece espressione di fierezza o potenza. Protagonisti della «morale degli schiavi» sono «gli oppressi, i conculcati [quelli calpestati], i sofferenti, i non liberi, gli insicuri e stanchi di se stessi». La diversa disposizione gerarchica di ciò che è desiderabile può andare dunque a vantaggio di una classe sociale o di un’altra. È come se le due classi sociali si orientassero con mappe territoriali reciprocamente capovolte, per questo gli obiettivi da raggiungere sono così diversi e impossibili da condividere. I filosofi occidentali che hanno cercato di razionalizzare la vita e di fissare rigorosamente le qualità della morale, secondo Nietzsche, non hanno capito – o hanno fanno finta di non capire – che vita e morale non sono sovrapponibili. La vita è sempre «al di là del bene e del male», perché è potenza vitale che deriva dalla natura e come questa non ha obiettivi particolari se non quello di esprimere la propria forza. La natura dell’uomo è dunque volontà di potenza, è vita che vuole la vita, ossia vuole solo la propria espansione. Scrive il filosofo: «Un’entità vivente vuole soprattutto scatenare la sua forza – la vita stessa è volontà di potenza». La vita è dunque al di là del bene e del male, sfugge ad ogni tentativo di costringerla in un ordine, perché è indifferente alle categorie umane. È semplicemente energia che pulsa, mentre il tentativo di ricondurre l’agire agli schemi di «bene» e «male» è un’esigenza umana o, per dirla con Nietzsche, semplicemente «troppo umana». Tuttavia, anche se la natura è indifferente all’uomo, alle sue intenzioni e ai suoi programmi, molti filosofi non si sono rassegnati a ostentare o a condividere il punto di vista del più forte, ma hanno mostrato che è necessario considerare tutta quella realtà che esiste invece «al di qua del bene e del male».

Un caro saluto,

Alberto











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