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Cor-rispondenze

lunedì 31 gennaio 2011

Il senso della vita (III parte)



5. “Hai già sollevato domande sul senso della tua vita e se sì, in quale occasione?” (in quale momento o in quale periodo). Se sì, hai individuato risposte diverse da quelle che hai fornito alla domanda n. 2?

Di solito mi pongo domande sul senso della vita quando mi trovo in situazioni difficili o quando sono giù di morale. È proprio in queste occasioni che inizio a riflettere sul senso della mia vita e soprattutto a evidenziare gli aspetti positivi che mi rendono felice e gli aspetti negativi che mi rendono infelice. So però che affrontandoli con volontà di cambiamento mi fanno crescere.

Spesso mi sono domandata: "che senso ha vivere, se poi in un secondo tutto quanto, tutto quello hai fatto, tutto ciò che hai progettato svanisce? In particolare mi sono chiesta perché viviamo in seguito alla perdita di una persona a me molto cara: il dolore e la sofferenza mi hanno aiutata, in qualche modo, a crescere e a cambiare la prospettiva che avevo sulla vita. Mi ha fatto capire quanto sia difficile vivere, ma, allo stesso tempo, quanto sia essenziale lottare, andare avanti, non arrendersi mai, non lasciarsi intimorire dalle situazioni, resistere a qualsiasi ostacolo, perché non c'è cosa migliore che vivere la vita fino in fondo.

Ho cominciato a pormi alcune domande sul senso della vita circa due o tre anni fa. Non c'è stato un momento preciso, gradualmente, e molto lentamente, le domande sono diventate sempre più chiare e le risposte sempre più difficili da trovare. Devo ammettere, però, che lo studio della filosofia mi ha aiutato molto a ragionare e ha aumentato le possibili risposte.

Ad essere sincera non mi sono mai posta domande sul senso della mia vita, se non come ho spiegato nella domanda 2. Credo che la vita sia un dono prezioso e vada vissuta intensamente e al meglio.

Ho sollevato le prime domande sul senso della vita negli ultimi 2-3 anni a scuola, nelle lezioni di religione e di filosofia. Studiando diversi filosofi ho notato come sia difficile trovare una risposta a questa domanda e come le risposte sono disparate a seconda di ciascuno di noi. Le risposte che però ho individuato sono quelle della domanda n. 2, ma sono sicuro che si mi chiederanno tra 10-15 anni qual è il senso della mia vita le risposte saranno altre, perché a diciassette anni non si ha l'esperienza che si potrà avere a 30-35 anni. Quindi, per ora, il senso della mia vita è nelle cose che mi stanno attorno e non tanto in qualcosa di spirituale.

Spesso mi sono chiesta che senso avesse la mia vita, e quella di tutti gli altri.
Quanto valgono 21 grammi? Come sarebbe la vita delle persone che conosco se io non fossi mai esistita? Ultimamente mi chiedo se ci sia qualcosa che mi sta sfuggendo per capire il senso di tutto questo... penso dentro di me, cerco di ricordare il passato, i volti, i luoghi, gli odori... poi penso al presente, mi immagino un futuro... perché vivo tutto questo?

Nei momenti più difficili della mia vita, le domande sul senso della vita ritornano più forti. In questi momenti sento forte il desiderio di trovare una risposta sicura, verificata, che possa dire con certezza chi siamo noi e che cosa facciamo su questa terra in questo momento, piuttosto che in un altro luogo, in una situazione diversa. Ma una prova certa non l'ho mai trovata e sono costretto a ricorrere alla fiducia in ciò che mi viene detto, o ai deboli indizi che trovo intorno a me.
Non mi sono mai posto domande sul senso della vita, forse per pigrizia o per paura di non trovare vere risposte.

Sì, mi capita ogni tanto. Ho un amico con cui affronto questi argomenti così diversi da quelli che noi giovani siamo soliti fare. Eppure mi sento più grande, più completa, più intelligente dopo averli trattati. E alla domanda sul senso della vita, che è stato proprio il mio amico a pormi per la prima volta, ho sempre risposto allo stesso modo: un giorno potrò dirvi quale senso avrò dato alla mia vita e se non lo farò io lo faranno le persone che mi sono state vicino e mi hanno voluto bene.

Sì, mi è già capitato di parlare di questo argomento agli scout, in classe, o anche solo con delle persone (una in particolare). Oppure mi ricordo di un momento in Inghilterra quando mi trovavo davanti ad un paesaggio splendido (in Cornovaglia) e mi sono sentita minuscola. Ho sempre risposto a questa domanda come ho fatto alla n. 2, però è ovvio che in certi periodi un po' più cupi avevo e ho la tendenza ad essere meno positiva e a pensare di più (spesso inutilmente) invece di prendere in mano la mia vita e renderla migliore, cambiando ciò che non mi va a genio.

Le domande sul senso della vita sorgono spesso alla morte di persone abbastanza vicine a me; in queste occasioni mi chiedo che senso ha vivere se da un momento all'altro puoi lasciare questo mondo; se a causa di un incidente si può rimanere incollati al letto di un ospedale per il resto della vita. A questi dilemmi mi sono risposto che bisogna vivere la vita serenamente e, in un'ottica cristiana, se queste cose accadono vuol dire che c'è un disegno superiore a cui non possiamo sottrarci.

Non ho mai sollevato domande o pensato in particolare al senso della vita. Penso che ognuno debba tentare i propri ragionamenti secondo la propria logica, argomentando, trovando conferme o smentite dai libri. La presenza di una persona pronta a ribattere col proprio ragionamento può essere di intralcio all’avanzare del nostro pensiero e potrebbe condizionarci.

Sì, quando è morta un'amica che non vedevo da anni. Per giorni mi sono posto domande del tipo: perché a lei e non a qualcun altro?", "perché sono ancora qua?", "che senso ha sbattersi per andare avanti, se tanto finisce tutto? ". Non credo di essere arrivata a dare risposte vere e proprie, so solo che ho deciso di andare avanti anche per lei, perché non ha avuto le possibilità che sono state date a me. Per quanto riguarda la domanda "perché lei?”, ho letto poco dopo un libro che rispondeva: "è il genere di domande che Dio non si pone".

Sì, molte volte mi sono già domandata che senso avesse la mia vita e l'unica risposta che sono riuscito a darmi è che così doveva essere. Ho già anche pensato che qualcuno più grande di me avesse voluto la mia esistenza per un motivo a me per ora ignoto. Io sono credente.

Domande ne ho sollevate tante, risposte me ne sono date ben poche. Sollevo queste domande quando mia madre incavolata nera mi vede coricata sul divano e mi chiede che cosa voglio fare della mia vita; me le pongo quando attraverso un periodo in cui non me ne va bene una e non so da che parte sbattere la testa; me lo chiedo quando mi fermo un attimo a pensare a quello che sucederà domani... le risposte che mi do sono poi sempre diverse, cambiano a seconda della giornata, del periodo, di ciò che mi accade intorno. Io nella mia vita voglio essere felice, se sono qua e sono come sono ora un motivo ci sarà, uno scopo ce l’ho anche io! Io voglio far sorridere le persone che amo, farle piangere di gioia, voglio esserci sempre, voglio rendere felici i miei genitori, renderli fieri di me, voglio cambiare il mondo, o almeno rendere perfetto il mio! Ho diciassette anni, ho tutte le possibilità e le capacità di farlo.

Raramente mi è capitato di riflettere seriamente sul senso della vita; è successo in momenti tristi e difficili, quando ti chiedi - in modo più retorico che reale -, che motivo ha la tua esistenza.

Penso che domande del genere me le pongo da un paio di anni a questa parte, e credo di aver seguito sempre la linea di pensiero che ho descritto nella domanda 2.

Ho iniziato a pormi certe domande appena due-tre anni fa, grazie alla mia personale curiosità e stuzzicato dalle lezioni di religione, ma se allora non mi soffermavo troppo sul problema, negli ultimi tempi ho cercato di "comprendermi" meglio e sono arrivato alla conclusione della risposta n. 2. Diciamo che, comunque, sono ancora alla ricerca di "pezzi mancanti".

Sì, spesso, praticamente ogni giorno.



6. “Hai avuto delle esperienze particolari, spirituali o di altro genere, che hanno generato una nuova comprensione del significato della tua vita?”;

Come ho già scritto nella domanda n. 2, la comprensione del significato della mia vita è cambiata molto da quando è morta mia nonna paterna a cui ero molto affezionato. Anche se è brutto dirlo, la sua morte mi è servita molto per farmi capire che noi uomini alla fine dei conti siamo niente, perché siamo esseri non eterni, e quindi dobbiamo goderci la vita fino in fondo, godere attimo per attimo come se fosse l'ultimo della vita.

Il dolore che ho provato per la perdita di alcune persone molto importanti e vicine a me mi ha fatto riflettere molto sul significato che ha per me la vita. Viviamo tutti in attesa di qualcosa, di qualcosa di migliore e viviamo sperando che ciò che abbiamo fatto e creato durante la vita sia ricordato e lasci una qualche traccia in futuro. Dato che credo nell'esistenza di Dio, sono convinta che noi viviamo in un determinato luogo e in un preciso periodo perché, in qualche modo, è lì che c'era bisogno di noi: la vita è un passaggio, e deve essere vissuto nel migliore dei modi perché è un dono per tutti noi, in attesa di una nuova vita.

Sì, in un certo senso sì, fino a tre-quattro anni fa credevo di essere un credente, in realtà ero stato abituato a pensare di essere credente e, piano piano, mi sono allontanato dal mondo della religione, consapevole di non avere una fede reale. Da quel momento è cominciato a nascere il senso della vita che ho attualmente, ed è anche cominciata una ricerca reale e personale nei confronti di Dio.

Purtroppo non ho mai avuto esperienze né particolari né spirituali che possano aver generato una comprensione del significato della mia vita; ma ho sempre desiderato, e spero che un giorno questo desiderio si avveri, di andare per un periodo come volontaria ad aiutare i bambini poveri che hanno più problemi di me; è un'esperienza che mi piacerebbe molto, e quando compirò diciotto anni, e fortunatamente ci sono vicina, forse riuscirò a renderla realtà.

Quand'ero più piccola, fino a qualche anno fa, molte domande trovavano risposta in Dio, perché fin da piccola così mi era stato detto; ma negli ultimi anni, specialmente da quando ho iniziato il triennio del Liceo, penso che Dio sia l'ultima risposta ipoteticamente giusta, perché se un essere onnipotente esistesse davvero non permetterebbe certi avvenimenti. E anche se un dio esiste io ritengo che sia indifferente a noi e quindi non vedo perché dovrebbe essere una delle ragioni del mio senso di vivere.

Diciamo che ho avuto alcune brutte esperienze che mi hanno portato a farmi molte domande sul senso della vita. C'è stato un periodo in cui avevo perso la speranza per ogni cosa bella ed ero convinta che niente avesse senso, e non riuscivo a guardare più in là di qualche giorno. Oggi invece vedo che, in fondo, se siamo nati e se siamo in vita ci dovrà pur essere qualche motivo!

Con il mio gruppo parrocchiale ho già fatto diversi ritiri. La parte che mi tocca maggiormente è la condivisione delle esperienze personali. In quei momenti è possibile scoprire che c'è qualcuno che ha i tuoi stessi problemi e le tue stesse preoccupazioni; che non sei solo a provare determinati sentimenti. Questo contribuisce a rimpicciolire quegli stessi problemi, e a farmi scoprire che c'è sempre comunque qualcosa, anche nelle situazioni più drammatiche, per cui vale la pena vivere.

Mi aveva colpito la storia di una ragazza (poi diventata beata) che, colpita da tumore, in fase terminale non aveva mai abbandonato la sua felicità e il suo sorriso, diventando prima e dopo la morte un simbolo per tutti coloro che si trovavano nella sua situazione. In quella situazione avevo pensato che lei doveva aver trovato sicuramente il senso della vita: uscire dal cammino dell'esistenza a testa alta, felice di quello che aveva e che aveva lasciato agli altri. Avere una vita piena, anche se corta, e non una vita vuota e lunga.

Alcune esperienze che mi è capitato di avere in questi anni di vita hanno contribuito a formarmi poco per volta, mutando la mia personalità e il mio modo di pensare. Giocare per tre anni in una squadra di pallavolo mi ha fatto capire che nella vita ci vuole forza e quando cadi non devi piangere, ma alzarti al più presto, altrimenti un altro colpo di centrerà. Vedere mio fratello partire pochi mesi fa per l'Inghilterra, a solo diciannove anni, per andare ad abitare a Londra mi ha insegnato che nella vita bisogna essere temerari e ottimisti altrimenti non si arriverà mai da nessuna parte.

Ho conosciuto un monaco dell'abbazia di s. Antimo, in Toscana. E' una di quelle persone che quando parlano riescono a trasmetterti ciò che provano realmente per quello che fanno e che trasmettono un sacco di emozioni. Nonostante io non condivida lo stile di vita di questa persona devo ammettere che era ed è una gran bella persona. Avevo dei pregiudizi nei suoi confronti ma quando abbiamo avuto la possibilità di confrontarci ho dovuto ricredermi. Pensavo fosse uno di quegli ecclesiastici dalla mentalità chiusa e arcaica, ma mi sono dovuta ricredere. Anche grazie a lui ho capito l'importanza della semplicità, della riflessione, della contemplazione. L'importanza e la necessità che do adesso a questo tipo di cose le devo anche lui che mi ha fatto scoprire la bellezza un pomeriggio d'estate coricati in un prato a guardare il cielo.

La visione del film "Le ali della libertà" in cui il protagonista, un uomo di successo finisce ingiustamente in prigione, ma attraverso le sue capacità riesce a tornare in libertà, mi ha fatto comprendere che, per una persona che si impegna e usa l'intelletto non c'è nessun ostacolo così grande che non possa essere superato.

Quando faccio dei viaggi in montagna o al mare trovo sempre dei momenti in cui riflettere da solo osservando il panorama; oppure durante le sere d'estate a guardare il cielo stellato. Non ci sono stati bruschi cambiamenti, ma piccole e graduali intuizioni. Un cambiamento troppo forte dato da un avvenimento improvviso e straordinario potrebbe essere limitato al periodo di stupore e creare confusione.

Una volta ho parlato a un amico. Io avevo la testa piena di quei concetti religiosi che ti mettono in testa prima che tu possa iniziare a pensare e a ragionare. Mi avevano sempre detto che la mia vita era per Dio, che dovevo fare la buona per lui, che ogni cosa che facevo era per lui. Ho dato per scontato che per tutti fosse così, fino a quando questo amico non mi ha espressamente chiesto: "perché credi in Dio?" E senza aspettare la risposta mi ha spiegato che anche lui in passato, per abitudine o tradizione, credeva all'esistenza di Dio. Un giorno ad una messa decise di non prendere l'eucarestia e di non farlo più finché non avesse preso lui la decisione di credere e non i suoi genitori. Quella chiacchierata ribaltò tutte le mie certezze e cominciai a pormi domande, ma nessuna di queste domande ha avuto risposta.

All'età di undici anni c'è stata un'esperienza che mi ha segnato particolarmente. Ero in montagna durante una camminata con un gruppo di ragazzi della mia età della diocesi. Guardando il sole qualcosa è cambiato. Non so dire con esattezza cosa fosse ma ho sentito qualcosa dentro che mi ha scombussolata come se mi fossi appena svegliata da un lungo sonno... mi sono davvero sentita completa. A distanza di anni non so chi o cosa ho incontrato in quel giorno, ma la mia vita è cambiata. Il modo in cui concepisco la mia vita è cambiato. Ora mi sento più tranquilla perché non mi sento sola. Io sono credente non in una religione, ma in qualcosa che sta sopra di noi e che ci sostiene.

Mi hanno portato via un'amica, me l'hanno strappata a quello che definiamo vita, non sono io che posso giudicare che cos'è giusto e che cosa è sbagliato. Io posso solo continuare a chiedermelo. Aveva dei progetti, aveva sofferto, ma voleva uscire, voleva "spaccare", voleva vivere. Ora mi chiedo: avrà avuto il tempo di dare un senso alla sua vita? E ora che se n'è andata, avrà realizzato quello che si era prefissata? forse lei non ha potuto realizzarsi, non ne ha avuto il tempo. Nemmeno io conosco il tempo che mi è stato concesso, ma ora che sono qui posso ancora aprire gli occhi al mattino, posso ancora sentire il profumo del caffè, il calore degli abbracci, dei baci, posso ancora piangere, lamentarmi, posso ancora vivere, posso ancora credere in qualcosa. Una risposta alle mie domande però crescendo me la sto dando o perlomeno io sono sicura che lei, Nuny, faccia parte di un disegno bellissimo, di un quadro ricco di colori e di emozioni, e che quel grande pittore ce l'abbia portata via per farci capire, per farci porre un obiettivo, per farci dare un senso che forse non ha potuto dare lei.

Il crescere di per sé fa maturare ogni giorno dentro di noi la comprensione del significato della vita; crescere vuol dire doversi confrontare con situazioni nuove, piacevoli, difficili, tristi, tanto grandi da sembrare insormontabili. Persone molto vicine, che la sera vanno a dormire e che non si sveglieranno mai più; amiche, compagni di scuola che saluti il venerdì con un: "ci vediamo lunedì", ma che la domenica sera, tornando da sciare, se ne vanno per sempre e nessuno sa davvero bene dove. Le vita è stata un dono di chi ci vuole bene, non si può togliere così presto, senza preavviso. Eppure succede, troppo spesso. È stata particolarmente la morte a generare una nuova comprensione del significato della mia vita; può arrivare da un momento all'altro, per questo non dobbiamo aspettare a dare un senso alla nostra vita, ma dobbiamo farlo ogni giorno.

Non ho mai avuto esperienze rilevanti in quel senso, non è ancora successo nulla nella vita da farmi capire qualcosa di più o qualcosa di differente.

Qualche anno fa ho conosciuto un ragazzo che aveva iniziato l'Accademia per diventare finanziere, e vedendo in lui tanta determinazione e devozione verso il suo "sogno" mi sono innamorato della vita militare e mi sono informato; non solo perché curioso, ma perché ero davvero interessato. In un certo senso questa mia "speranza" di riuscire a fare una scuola del genere mi ha portato a mutare la mia comprensione del senso della vita.

Sinceramente sì, uno stato di solitudine: diciamo che restare da sola in determinate occasioni mi ha fatto pensare a molte cose.

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