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Cor-rispondenze

lunedì 29 ottobre 2012

Essere ricordati


Caro professore,
Tutti i giorni, o quasi, ci ritroviamo a parlare di personaggi vissuti nel passato. Ci ricordiamo di persone vissute anche millenni prima di noi, le ricordiamo per i loro incarichi, per le loro scoperte o per le loro idee. Ogni giorno facciamo rivivere qualcuno, ricordando le sue opere, le sue decisioni o i suoi comportamenti. I libri di storia citano centinaia di persone; forse, facendo un rapido calcolo, nel corso dei nostri studi ci ritroviamo a parlare di un migliaio di persone vissute nel passato. Nel corso dei secoli, però, la Terra ha visto molte più persone di quello scarso migliaio di cui ci ricordiamo: infatti, molte vengono dimenticate dopo due o tre generazioni. Per questo alcune tombe vengono svuotate dopo alcuni anni: i discendenti ora vivi non si ricordano più di un trisnonno vissuto cento anni prima. E' come se le persone che non hanno fatto "niente" per essere ricordate, già solo dopo cento anni è come se non fossero mai vissute. Non essere nessuno, vivere una vita nella media significa, dunque, non aver mai vissuto? Bisogna per forza diventare qualcuno per essere ricordati e dunque aver davvero vissuto?
Marco


Caro Marco,
A sentire le tue parole, mi vengono subito in mente i versi conclusivi de La sera del dì di festa di Leopardi: «E fieramente mi si stringe il core, / A pensar come tutto al mondo passa, / E quasi orma non lascia. [...]Or dov’è il suono / Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido /De’ nostri avi famosi, e il grande impero /Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio /Che n’andò per la terra e l’oceano? /Tutto è pace e silenzio, e tutto posa /Il mondo, e più di lor non si ragiona.?» (La sera del dì di festa) . Degli uomini non si ragiona più, non si parla più. Tutto è sparito, l’orizzonte dello sguardo sul passato è limitato e sfumato. Tant’è che anche i suoni («il suono», «il grido») non giungono più a noi. Nel Dialogo di un folletto e di uno gnomo, contenuto nelle Operette morali, Leopardi affida inoltre al folletto queste parole: «Ma ora che ei sono tutti spariti, la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non sono stanchi di correre, e il mare, ancorché non abbia più da servire alla navigazione e al traffico, non si vede che si rasciughi» . Non solo gli uomini non si ricordano dei loro antenati e di essi non «si ragiona», ma anche la terra «non sente che le manchi nulla». A ben pensarci, vengono in mente anche i versi di Lucrezio del De rerum natura ove l’autore rammenta come chi viene al mondo non ha sentore del rumore assordante delle guerre puniche: anche se «tutte le cose, scosse dal tumulto di guerra, / hanno vibrato d’orrore e tremato sotto la volta del cielo». Cosa ricordiamo di ciò che «ha tremato sotto la volta del cielo?» Nulla. Cosa ricordiamo dei milioni di morti delle guerre mondiali? Nulla. Apprendiamo certo dai libri di storia gli avvenimenti, ma per noi sono semplici narrazioni, informazioni, per l’appunto, da imparare. In ogni caso, ignoriamo la vita della maggior parte delle persone. La scrittrice Marguerite Yourcenar ne Il tempo grande scultore, ricorda che non basterebbe un solo giorno per ricordare tutte le persone scomparse: «Ma vi sono anche, il bambino se ne rende già conto, miliardi e miliardi di morti la cui sorte nell'altro mondo non è nota, e che quelle ventiquattro ore del 2 novembre sembrano troppo brevi per onorarli tutti» . Non potremo mai onorare tutti i morti e siamo in grado di ricordare solo pochissime persone. Come vedi, non solo le «vite nella media», ma anche quelle che vengono ricordate un po’ più a lungo non sopravvivono alla potenza distruttrice tempo. Si è certi di «aver vissuto», non perché il proprio nome dura nel tempo (anche il nome di un terrorista o di un pazzo può durare quanto quello di uno scienziato o di un benefattore), ma perché si dà significato a ciò che si fa. C’è un limite nel passato oltre il quale non possiamo andare, così come c’è un limite per il futuro. Meditare sulla sparizione della nostra esistenza, sul periodo in cui lasciamo un breve segno sul «foglio dello spazio e del tempo» non deve condurre né all’esaltazione febbrile di ogni attimo né alla cupa disperazione. Puoi però essere certo di aver vissuto se cominci ad interessarti al tuo passato: alla vita del tuo «trisnonno» e delle altre persone, se ti prendi cura di quelle vite e delle persone che incontri e se ti relazioni autenticamente agli altri in vista di un futuro che sarà accolto da chi oggi non riesci ancora a vedere.
Un caro saluto,
alberto

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