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Cor-rispondenze

lunedì 5 novembre 2012

Il mio motto è "Non mollare mai"


Non mollare mai
Ho scelto questa frase come quella che mi rappresenta perché è quello che mi hanno sempre insegnato i miei genitori... mi dicevano " se vuoi qualcosa, vai a prenderla ", secondo me se qualcuno ha un sogno è giusto che provi a realizzarlo, se poi questo sogno non si avvera è dovere di una persona porsi altri traguardi, perché bisogna sempre rialzarsi dopo una sconfitta... Io sono appassionato di calcio e praticante e credo che lo sport sia il miglior modo per imparare questo modo di vivere..

Luca

Nunquam redonis
Non arrenderti mai
Davanti ad ognuno di noi ci sono ostacoli da superare per raggiungere il traguardo che ci siamo prefissati. Anche se alcune volte gli ostacoli sembrano insormontabili bisogna insistere e lottare, senza arrendersi. Solo con la tenacia, la determinazione, la grinta e la voglia si arriva alla meta. Arrendersi vuol dire uscire sconfitti, perdenti, alzare "bandiera bianca"; è ammettere di non riuscire a fare qualcosa e quindi darsi per vinti. Bisogna continuare a lavorare per raggiungere la meta prefissata senza rassegnarsi davanti alle difficoltà che si incontrano.
Alessia

Cari Luca e Alessia,
«Provare a realizzare i propri sogni», «rialzarsi dopo le sconfitte», «porsi nuovi traguardi», «insistere e lottare» per i propri obiettivi sono incoraggiamenti importanti per sostenere le proprie attività, per coltivare i propri progetti. Le vostre parole mi fanno venire in mente due autori che recentemente hanno parlato dell’importanza di non arrendersi di fronte alle difficoltà: Massimo Gramellini e Michela Marzano. Massimo Gramellini nel libro Fai bei sogni (2012) rivela che da piccolo aveva gridato «Non mollare» a Pulici, il grande attaccante del Torino (squadra di cui anch’io sono tifoso), forse in un momento in cui anche il grande atleta stava sperimentando qualche inconveniente sportivo. Ma poi, più avanti nel libro, racconta di una lettera di una mamma che in fin di vita sussurra al figlio: «Non mollare mai, sei in gamba ed è stato un onore per me averti come figlio». L’altra immagine mi conduce al libro della filosofa Michela Marzano che, con un atto di coraggio, ha raccontato in Volevo essere una farfalla la sua lotta contro l’anoressia. Marzano scrive: «Perché accanto all’abisso c’è sempre un ponte. Un filo sottile che separa il riso dal pianto. L’odio dall’amore. La morte dalla vita. Basta saperlo afferrare e non mollare mai, qualunque cosa succeda». Ho scelto questi due autori, perché entrambi hanno sentito come fondamentale l’invito a non mollare nella vita e nelle difficoltà: il primo ha ricevuto questo messaggio dalla fonte primaria della vita e dell’amore che è la madre, la seconda ha sentito emergere questa esortazione dentro di sé. É la vita, in fondo, che ci chiede di «non mollare», la vita che ci parla con il linguaggio vitale dell’amore e quella che ci parla con il linguaggio interiore della sopravvivenza. È un invito non tanto a non cadere, ma semplicemente a non cedere definitivamente alle difficoltà, alle paure, agli insuccessi, alle carenze affettive di ogni tipo. In fondo, credo che tutti i genitori vorrebbero trasmettere questa volontà di vita, questa capacità positiva di reggere le difficoltà, questa forza residua nei momenti bui che permette di non cedere negli inciampi o di soccombere alla commiserazione. «Qualunque cosa succeda», perché vorrebbero farci sentire che gli insuccessi non devono spegnere i nostri sogni e che nessun «abisso» può annullare o esaurire le nostre potenzialità.
Quando è mancata mia mamma ho cercato dentro di me se c’era ancora della forza residua. Anche se molte persone mi hanno fatto sentire il loro affetto, non sapevo se l’abisso che si era spalancato avrebbe avuto una qualche fine. Col passare delle prime ore l’unica cosa che ho sentito dentro di me era il riverbero di antiche parole che conoscevo e che mi sono tornate alla mente in quei momenti. Parole antiche, degli stoici, che dicevano «substine» e «abstine», ossia sostieniti e non pensare di poter modificare ciò che è accaduto. «Sostieniti», però, è il verbo che nello stesso tempo mi ha fatto sentire bisognoso di prendermi cura di me. «Sustine», sostieniti, o come preferite voi «non mollare» è un invito che proviene da molto lontano. Da chi conosce la vulnerabilità dell’uomo e la necessità di sorreggere la sua fragilità.
Un caro saluto,
alberto

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