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Cor-rispondenze

lunedì 8 febbraio 2016

Ricerca del meglio

riciclo-creativo-t-shirt
 
Caro professore,
è forse banale come io abbia ricevuto la mia «scossa», quell’impulso che mi ha portata a pormi domande. Credo che sia abbastanza comune comprare una cosa, come per esempio un maglietta, metterla per un certo periodo e poi un mese dopo ignorarla totalmente quasi fosse la cosa più brutta mai comprata. Generalizzando, da una questione abbastanza stupida, come può essere quella dell’abbigliamento, mi è venuto da pensare come una cosa o una persona o una situazione che in un momento ci sembra la migliore in assoluto possa poi essere totalmente rivalutata. Un giorno esci con un ragazzo che ti sembra perfetto e poco dopo pensi: «ma cosa mi è girato?». Se ripercorro brevemente la mia vita e penso a quante amicizie io abbia cambiato non ne tengo un conto. Se si presuppone che si lasci una cosa per un’altra migliore vuol forse dire che la mia prima amica sia la peggiore e l’ultima la migliore? Non credo proprio. Allora la mia domanda è: cos’è che porta l’uomo ad essere sempre e costantemente attratto da ciò che è nuovo e a guardare con sufficienza al vecchio?
Ilaria, 3F
 

Cara Ilaria,
Nella tua lettera ci sono due modalità di «guardare con sufficienza al vecchio»: una si esprime nella relazione con le persone e l’altra con gli oggetti. Se consideriamo i rapporti interpersonali, guardiamo con sufficienza al vecchio quando, come avrebbe detto Kant, non consideriamo più l’altra persona un fine in sé, ma semplicemente un mezzo per soddisfare i nostri bisogni. E se riduciamo l’altro a un mezzo (come la maglietta da cambiare), o rispettiamo l’amico solo in quanto si adegua alle nostre idee o alle nostre esigenze, allora soffochiamo la relazione. Quando c’è ripetizione senza novità, senza investimento affettivo, i legami non creano connessioni, ma nodi, grovigli, complicazioni. Qualche tempo dopo Kant, il filosofo danese Soeren Kierkegaard ci ha aiutato a comprendere meglio il meccanismo della ripetizione nella vita. C’è una ripetizione sempre identica, come il movimento di una ruota di una bicicletta, dove ogni rotazione è indistinguibile da quella precedente. Se mettiamo un segno su un punto della ruota o coloriamo un raggio, assistiamo al ripresentarsi identico del tratto colorato ad ogni giro. Un movimento senza novità, un andamento senza vita. Semplice fluttuazione. Ma c’è anche una ripetizione feconda, quella generata dalla freschezza dell’incontro con la stessa persona nel corso del tempo, che non si lascia esaurire dal meccanismo. La vita di una coppia, quella di un’amicizia, contengono elementi ripetitivi. Secondo l’autore, chi decide di confermare la stessa persona ogni giorno, scopre nella relazione una ricchezza che non si può intuire dall’esterno. Tra il saluto del primo giorno di scuola ai tuoi compagni e il saluto dell’ultimo giorno dopo cinque anni trascorsi insieme si saranno moltiplicati gesti rituali, distratti e ripetitivi. Ma alla semplice curiosità dell’inizio si sostituiranno le lacrime del periodo conclusivo, per un mondo relazionale che è cresciuto nel tempo e che dovrà cambiare, perché in quella ripetizione giornaliera e forzata di campanelli, insegnanti e compagni sono nate trame relazionali e culturali impensabili. Spesso le vere amiche non sono le ultime persone conosciute. Forse guardiamo con sufficienza un amico solo quando non vogliamo più investire curiosità e affetto con lui. È certamente legittimo e normale: tuttavia non avviene per caso, ma per scelta. Il secondo aspetto riguarda il rapporto con gli oggetti. C’è un momento in cui magliette, vestiti e anche canzoni rappresentano una forma di trasgressione verso le abitudini del proprio luogo e sono il modo in cui ognuno tenta di immettere novità dentro una routine, afferma la propria novità in un gruppo e l’esigenza di introdurre nuova vita. È un modo per esprimere un punto di vista originale o prendere posizione politica e culturale trasgressivo e talvolta ribelle. E c’è un momento in cui le magliette e gli oggetti servono per identificarsi in un gruppo, conformarsi alle abitudini. Avvertiamo però intimamente una spinta al rinnovamento, perché la variazione è rinascita, che ci permette di liberarci da sopravvalutazioni e cristallizzazioni che immobilizzano l'esistenza. In fondo, la trasformazione ha a che fare con il flusso della vita, con il passaggio; anche con la considerazione che nulla è definitivo e nessun oggetto indispensabile, neppure la maglietta tanto cercata e amata. Tuttavia, occorre pensare che il cambiamento non nasce solo da un’esigenza intima di rinnovamento, ma ci viene imposto dalla velocità del nostro tempo. Il sociologo Zygmunt Bauman  scrive che è piuttosto un «dovere camuffato da privilegio» (Consumo, dunque sono, 2008), e che il nostro tempo impone una continua anticipazione del futuro per affrancarsi rapidamente del passato. Non si lascia un’amica per un’altra migliore come in una selezione darwiniana. Guardiamo con sufficienza ciò che è vecchio solo se non riusciamo a guardarlo con uno sguardo nuovo. Non sarà che la stessa spinta a consumare le cose orienta anche le relazioni con le persone? La rivalutazione è indispensabile e può servirci a capire che i rapporti si possono recuperare.
Un caro saluto,

Alberto

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